Lettera sulla felicità n.1

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Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità
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Felicità è un latte in compagnia

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“La Felicità” – Festival delle Scienze 2013” è l’ottavo appuntamento romano, presso l’Auditorium Parco della musica (quello degli enormi “mouse” di Renzo Piano), con un’indagine a tema svolta attraverso differenti settori dello scibile umano.

Io mi ci accamperei, in Auditorium. Il cartellone è meraviglioso e micidiale: molto spazio è dedicato ai meccanismi delle dipendenze, al sesso e al piacere in senso lato (Sex toys, la felicità a portata di mano , I circuiti cerebrali del piacere , Felicità nel cervello e nella mente , Sesso e felicità. Una prospettiva (neuro)scientifica , Morso, Sesso e Felicità , Amore animale e sessualità umana).

Che temone. Però mi domando se non si faccia una certa confusione tra Felicità e Benessere. Quale mancanza lamenta l’Uomo dei nostri tempi? Attimi di intenso sentirsi vivere? O piuttosto una sequenza ininterrotta di giorni dei quali non abbia nulla di cui lagnarsi, altro da dire che “Sono contento”?

Se mi limito al campo dell’intuizione non verificata, io so che l’accezione di Felicità come serenità costante è qualcosa a cui uno può ambire senza grandi sforzi. Penso che sia legata a un’attitudine dell’individuo, all’educazione ricevuta e alla fortuna. Ma sono le immagini di Felicità ricorrenti nell’immaginario comune: le “botte” di adrenalina, e i vasti laghi di endorfine nei quali si finisce a galleggiare di conseguenza, quell’alternanza che crea la dipendenza, ciò di cui si sente tanto la necessità. Quelle immagini sono delle istantanee, la visione (e quindi la profondità dell’apprezzamento) delle quali può aumentare in misura proporzionale alle difficoltà affrontate per arrivare ad ammirarle.

Il tempo non fa sconti. Non è data una Felicità (istantanea) che resti immutabile nella sua carica di esaltazione. In tempi grami come quello che stiamo attraversando, davanti alle manifestazioni di disperazione, a me viene spontaneo osservare che dosi ripetute di Felicità elementari possano essere ciò a cui si debba ambire per il bene di sé stessi, per mantenere un minimo livelo di salute mentale, in assenza di condizioni di miglior favore, come si usa dire in campo commerciale… visto che è il commercio il maggior beneficiario  delle conseguenze delle nostre frustrazioni. Ma, sensazioni e intuizioni a parte, visto l’ambito nel quale questo post si muove, devo ricordarmi che il metodo scientifico impone di verificare le assunzioni di partenza, e dunque:

“Consumismo e felicità: perché vogliamo quello che non ci serve”

Conferenza di Juliet Schor e Lauren Anderson del 20/01/2013 ore 19,00

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La diffusione delle ricerche sulla felicità ha fatto luce su alcuni dati importanti: superata una certa soglia, l’aumento della ricchezza materiale ha un impatto relativo sul benessere; il tempo libero è un elemento chiave della felicità; dare e condividere produce enorme soddisfazione; il rapporto con la natura è fondamentale per il benessere. Questi risultati mettono in discussione i modelli dominanti di “lavorare e spendere”, di consumo eccessivo, di “più è meglio” e la diffusione di attività economiche degradanti. Ricercatori e cittadini sono sempre più alla ricerca di nuovi modi di vivere; e guadagnano popolarità stili di vita a basso impatto e in scala ridotta, che danno maggior valore al tempo. Una nuova modalità collaborativa di consumo e produzione, basata sulle diverse aspettative dei consumatori e sull’onnipresenza di tecnologie avanzate sta cominciando ad alimentare e a soddisfare queste esigenze emergenti.

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Queste conclusioni sono state di recente presentate, come sempre in modo semplice e divulgativo -ma, come nota un commentatore “This is common sense, why isn’t this common sense yet?”- anche da da ASAP Science (per qualcosa di più strutturato rimando alla TED Conference di Daniel Gilbert o a quella di Michael Norton). Ringrazio Mitchell Moffit per il testo originale.

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I soldi fanno la felicità?

Sebbene molti di noi attraversano la vita con l’idea fissa di accumulare denaro, ci viene spesso detto che “I soldi non fanno la felicità”. Quanto c’è di vero in questa affermazione? C’è una correlazione tra il denaro e la felicità? E se sì, come possiamo utilizzarla a nostro vantaggio?

Gli uomini sono molto sensibili al cambiamento; ci piace molto ottenere un aumento o una commissione. Ci adattiamo a velocità incredibile alla nostro nuovo status di ricchi.  Alcuni studi hanno dimostrato che in Nord America, entrate aggiuntive superiori ai 75mila dollari l’anno impattano notevolmente sulla felicità quotidiana. Però spesso chi vince una lotteria finisce col diventare estremamente infelice. Col dare fondo a tutti i soldi, indebitarsi e vedere disgregate le proprie relazioni sociali. Allora, davvero i soldi fanno la felicità?

Studi recenti suggeriscono che il problema può consistere piuttosto nel modo in cui si spende il denaro. Invece di fare acquisti per sé, provate a darne qualcosa agli altri, e quindi verificate come vi sentite. Alcuni studi dimostrano che le persone che spendono il proprio denaro per gli altri si sentono più felici. E che mentre le persone che lo spendono per sé stesse non diventano necessariamente meno felici, la loro felicità rimane invariata.

Lo stesso principio è stato testato anche su team e società. Un esperimento ha dimostrato che diversamente dalle società che avevano destinato grandi cifre in beneficienza, dove l’importo era stato  diviso tra gli impiegati e permesso loro di contribuire a un’associazione a scelta, è aumentata la loro soddisfazione sul lavoro. In modo simile, gli individui che avevano speso gli incentivi monetari gli uni per gli altri anziché per loro stessi avevano realizzato non solo un aumento della soddisfazione sul lavoro ma anche aumentato le performance del team e le vendite. Lo stesso effetto si è verificato sia nei team vendite che in quelli sportivi.

È verificato quasi ovunque nel mondo che donare denaro o regali è correlato positivamente con la felicità. Di interessante c’è che non è così importante il modo nel quale i soldi vengono spesi per gli altri.

Dai regali più banali fino alle più importanti elargizioni alle organizzazioni di carità, spendere denaro per gli altri è l’aspetto fondamentale nell’aumento della felicità. Le ricompense emotive della spesa a vantaggio del sociale sono anche riscontrabili a livello neurale.

Ma se volete spendere del denaro per voi stessi, provate a sperimentare qualcosa di diverso dai beni materiali. Viaggiare o partecipare a un evento ha un impatto maggiore per la grande maggioranza delle persone nel lungo periodo. E mentre si risparmia per queste grandi esperienze, non bisogna dimenticare le gioie quotidiane della vita. Molti piccoli e frequenti piaceri aiutano a far passare le giornate e incoraggiano quel cambiamento che stimola la mente.

Invece di comprare un tappeto da 3mila dollari che fornisce un’esperienza una tantum ogni dieci anni, un latte* da 5 dollari con gli amici sarà diverso ogni volta e offrirà un accesso unico ad altre opportunità di essere felici.

Sebbene il denaro costituisca indubbiamente la principale fonte di felicità nelle nostre vite, certamente ha li potenziale di facilitare alcune cose e complicarne altre. Ma, alla fin fine, può comprare la felicità… se usato nella maniera migliore.

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ASAP Science – Can money buy happiness?

http://www.youtube.com/AsapSCIENCE
Created by:
Mitchell Moffit (@mitchellmoffit)
Gregory Brown (@whalewatchmeplz)
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(per Carla: e io ho da sempre un debole per gli epicurei… 3:) )

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*) dovrebbe essere l’equivalente di un nostro caffè o un tè con gli amici, oppure:

4 litri di latte in 10 secondi – Friends, episodio tredicesimo dell’ultima stagione

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4 Risposte to “Lettera sulla felicità n.1”

  1. alegbr Says:

    Per me la felicità è quella di cui parla Osho, uno stato-limite dell’essere che dipende dal retrocedere dell’Io, dal lasciarsi andare in se stessi con la fiducia che la propria natura è “intrinsecamente buona”, in tutte le sue parti, soprattutto quelle d’Ombra (quando riusciamo a integrarci). Con l’Ego in campo la felicità è un miraggio. Non ci sono gruppi nè soldi nè paradisi artificiali che tengano. La felicità, per quel poco che possiamo intravedere, si percepisce solo nella quiete della solitudine.
    Il resto è un o spinello di benessere, tutt’al più d’edonismo, va! 😉

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  2. icalamari Says:

    @Ale @Carla
    Eppure nei tempi antichi, anche cent’anni fa, chi ci faceva caso? Tutti erano impegnati a sopravvivere. E oggi, quanto ci manca la felicità nella vita, ci si sta male.
    Ale e Carla, il tema è importante ma, ne convengo, è mistificatore e limitato il modo nel quale viene costantemente trattato -in maniera da accerchiare e mantenere sotto scacco l’intelligenza dell’Uomo moderno, il(/la) quale vorrebbe, ma non sa individuare come, elevarsi al di sopra delle tecniche spicciole indicate dagli esperti di marketing americani-.
    Sono cresciuta sperimentando dall’interno i meccanismi delle multinazionali, i cui fortunati dipendenti (ormai sempre meno presenti in territorio italico) abbracciano la filosofia additata da Carla come fosse “Parola di Dio” e ne ottengono in cambio l’illusione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Monadi della peggiore specie, intanto nel mondo può accadere qualsiasi calamità, che loro non ne vengono toccati.
    E parallelamente, seguendo l’istinto, ho camminato sulla strada che percorre oggi Ale. Strada interiorizzata per sempre e dalla quale ho tratto, probailmente, i più grandi presupposti di quella stabilità interiore che ancora oggi mi sostiene. Ma la solitudine, alla lunga, mostra i suoi limiti.
    Un martini, un bicchiere di latte, una tazza di té o di caffé: il passo coraggioso in più da compiere mi pare che oggi possa essere quello di rompere l’isolamento. Tutto qui. Fuori da qualsiasi schema imposto da altri. Essendo semplicemente sé stessi, e rispettando chi ci sta di fronte. Non servono tante parole, la quiete non dev’essere interrotta.
    Può giovare forse… giusto qualche sorriso.
    🙂

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    • alegbr Says:

      Capisco, la solitudine inquieta ancora molto collettivamente, come concetto. Ma nessuno ha mai detto che bisogna murarsi vivi. Se si vive bene con l’intimo di se stessi, sarà la natura stessa delle cose a condividere ciò che è giusto condividere, quando arriva il momento.

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