Rimorchi

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Stazione di Bologna

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E succede che mentre leggiucchio un post profumato di vita (e di culo), e al solito mi chiedo perché non ho anch’io il coraggio che ha lei (La Vagina) di chiamare le cose con il loro nome, e poi però mi ricordo che io invece ho il coraggio di chiamare pubblicamente me stessa come mi chiamo, e mi pare già tanto per una persona rispettabile qual sono che improvvisamente ha deciso, senza apparente ragione alcuna,  di sputtanarsi con tutta la sua progenie saecula saeculorum aprendo un blog che trasmette, sempre di sé medesima, un’aria tutt’altro che rispettabile e matura (ma tant’è), e allora succede quindi che sull’onda della rivalutazione vaginesca di tutti quei tizi che fischiano dietro a una donna solo perché c’ha in vista le calze velate e i tacchi a spillo, quale apparivo io giustappunto ieri sera, passeggiando su e giù in attesa del treno MI-BO per tornare a RM , -ho imparato a capire, convenzionalmente in ritardo di dieci-venti minuti in fascia oraria serotina (sarà perché i macchinisti, come tutti noi mortali, forse hanno in corso un calo di zuccheri e pigiano di meno sull’acceleratore)-, mi sento trainare, col gancio da rimorchio, come una macchina in avaria da un’altra nuova di concessionario, e mi sale su all’improvviso il gusto satanico (salaticcio, umami) provato per l’appunto meno di ventiquattr’ore prima, e solo temporaneamente cancellato dalla notte di sonno immemore (ma meritato), per aver constatato di: a) essere ancora donna; b) di avere il potere di provocare eventi minimi con la forza del pensiero quasi fossi una Skywalker, ovvero che, sì, capperelli!, mi avevano fischiato dietro, fi-fiuuu, e no, non mi capitava dai tempi delle minigonne, ed erano due manovali, come copione, che forse è stato perché c’era la nebbia (era abbastanza “alta”, però, va detto), e che i capelli-lunghi-sciolti-sulle-spalle e i già menzionati tacchi, nonché l’aria indolente di una che aspetta (il treno), aiutavano la costruzione del personaggio, alla immedesimazione col quale però non ero preparata, io volevo solo levarmeli quei tacchi, e mettermi a sedere, e camminavo per tenere viva la circolazione, per cui al fischio e alle parole strusciate contro il mio culo e contro la mia volontà, rispondevo mentalmente “Mannateveneammoriammazzati!” e, dopo poco, si udiva un “Aaaarghhh” e poi un “Ahiahiahiahiahi!” e anche un “Ooohh!” e dalla nebbia le persone sulla banchina si mettevano a fare capoccella e si davano di gomito l’un l’altro, e che l’unica che accorreva a portare soccorso, constatando che il rimorchio pesantissimo che i due tizi trasportavano sulla discesa scivolosa per l’umidità verso l’ingresso del montacarichi opprimeva il torace di uno dei due e che l’altro lo stava spostando a fatica, e che il ferito, una volta tornato in piedi, si toccava la testa e la schiena mentre si accasciava ancora e si lamentava, e che entrambi, alla mia domanda “posso fare qualcosa? Chiamo un ambulanza, avverto i vostri colleghi?” evitavano di guardarmi e pure di rispondermi, e nel mentre finalmente arrivava il MI-BO-RM e decidevo di salirci, quasi a malincuore, ma poi mi veniva su quel gusto salaticcio, umami, piacevolissimo (l’inferno è mio, lo so) e allora mi mettevo ad ancheggiare verso al porta e poi salivo su, gradino per gradino, allungando ciascuna gamba senza fretta, punta caviglia polpaccio coscia, con gesti studiati, visto che per galanteria un uomo che mi precedeva mi aveva lasciato salire prima di lui e, finalmente, una volta accasciata sul mio posto, riuscivo a levarmeli quei maledetti tacchi, e mi appisolavo come una bebé, senza filarmi nessuno fino all’arrivo alla Stazione Termini. Questo mi succede di pensare, in merito ai rimorchi. Il giorno dopo.

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8 Risposte to “Rimorchi”

  1. ubik Says:

    che scrittura, accidenti.

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  2. massimobotturi Says:

    immagino un belvedere

    🙂

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  3. masticone Says:

    mi sa che eravamo alla stazione di bologna nello stesso momento

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