La privacy di Tobin

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(Ragionamento in forma di mesh up: “Il senso della privacy ai tempi di internet” di Jaron Lanier Vs. “La palma di Tobin” di O. Henry*)

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Quindi cercherò oltre, una volta finito “I Booddensbrook” mi infarinerò con uno spesso strato di filosofia zen, … non prima di aver familiarizzato con l’analisi bioenergetica di A. Lowen, W. Reich fino ad arrivare a Freud. Senza dimenticare di costruire solide basi di stoicismo e filosofia taoistica.(**)

Quindi cercherò oltre, una volta finito “I Booddensbrook” mi infarinerò con uno spesso strato di filosofia zen, … non prima di aver familiarizzato con l’analisi bioenergetica di A. Lowen, W. Reich fino ad arrivare a Freud. Senza dimenticare di costruire solide basi di stoicismo e filosofia taoistica.(**)

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Io con la testa ci sono e non ci sono.

«Che sia dannato» faccio a Tobin, «se riesco ad applicare il metodo scientifico a questa storia della privacy, ancora troppe incognite, malgrado Snowden e gli altri, proprio non ci riesco».

Noi due, Tobin e io, ce ne andammo a Coney, un giorno, e fra me e lui avevamo quattro dollari, e Tobin aveva bisogno di distrarsi. Per via di Katie Mahoner, la sua fidanzata, di County Sligo, che era scomparsa da che era partita per l’America tre mesi prima […]

«Fregatene,  ancora con questa fissazione con le prove provate. Apri la mente, se proprio non credi al soprannaturale, almeno segui qualche teoria, una filosofia, affidati all’introspezione, considera gli aneddoti… Uh… » E si interrompe con un sospiro penoso. È quasi impossibile cercare di distrarlo.

Davanti a un casotto di sei metri per otto, Tobin fa alt e gli occhi gli si fanno più umani.

«Qui,» dice «penso che mi divertirò. Mi farò investigare la mano dalla prodigiosa chiromante del Nilo, e vediamo se accadrà quel che deve accadere». […]

«Uomo,» dice madame Zozo «la linea della tua mano mostra […] che non sei arrivato a questo punto della vita senza malasorte. E dell’altra te ne toccherà. Il monte di Venere, o t’ha ammaccato una sassata?, dice che sei innamorato; la tua ragazza t’ha dato dei dispiaceri».

«Sta parlando di Katie Mahoner » mi sussurra Tobin a gran voce.

«Vedo,» dice la chiromante, «dolore e tribolazioni per colpa di una che non puoi dimenticare. Vedo che le linee indicano nel tuo nome le lettere K e M ».

«Hai sentito?» mi dice Tobin.

«Fa’ attenzione» continua la chiromante «ad un certo uomo nero e a una donna bionda; che te ne verranno guai. Presto farai un viaggio per acqua e subirai un danno finanziario. Vedo una linea che ti porta buona sorte. Un uomo entrerà nella tua vita per portarvi la fortuna: lo riconoscerai dal naso arcuato».

«C’è anche il nome?» […]

La chiromante guardò la mano, pensosa. «Qui il nome non c’è, però le linee dicono che è un nome lungo, e dovrebbe esserci la lettera ʽoʼ […]»

M.me Zozo, lei per esempio, ha usato l’intuizione umana per dedurre i fatti di Tobin e predire le sue mosse, non disponeva certo di un dossier su di lui, non lo aveva mai visto prima. Né può contare, non essendo né ricca, né potente, su sistemi statistici basati sui Big Data.

Il suo mestiere sfrutta quelli come Tobin, disposti a cedere notizie di sé in cambio di vantaggi effimeri, percepiti come più importanti di quanto non sia il loro valore reale.

D’altro canto, non c’è storia: gli studi mettono i fatti dalla parte di Madame Zozo. Altro che il “precrime” di Minority Report che viene sbandierato come già possibile.

Lei fa come il T9: completa i frammenti di informazione carpiti ai clienti, usando come database l’esperienza unita al ragionamento umano, per il momento molto più efficace di qualsiasi algoritmo.

Visto che, più che l’accesso alle informazioni, conta la potenza di calcolo, la chiromante del Nilo è la prova vivente che i sistemi di sicurezza nazionale sono ben lontani dall’anticipare i crimini.

E la fiducia propagandata con la terminologia da “divinità onnisciente”, può fare grossi danni.

Come le assicurazioni sanitarie USA, che dopo aver evitato i clienti più a rischio con complessi calcoli statistici applicati a enormi quantità di informazioni sugli ignari richiedenti, da quella stessa complessità sono stati travolti, per non aver saputo gestirla.

Ma niente in confronto alla nostra grande recessione, l’esempio più lampante. Persone ridotte a modelli e bersagli per la pubblicità di mutui e crediti, e automatismi degni della fantasia di Dick: così la finanza incompetente ha fottuto sé stessa e il resto del pianeta.

Pensate che la gente abbia capito?

Il mio amico Tobin, oltre che senza soldi, è ancora per la condivisione estrema, un sogno egualitario che non prevede rendite di posizione. Infatti dà subito una prova di condivisione di botte.

Mentre ci schiacciamo per infilarci sul traghetto, un negro pianta il suo sigaro nell’orecchio di Tobin, e ci sono complicazioni […]

Un occhio nero a testa, e ciascuno se ne va contento. Anche io ho sempre avuto il mito della condivisione gratuita, ma ormai ho letto troppo, e non è più così.

Se gli smanettoni e i cyberattivisti, così come i social network, predicano la condivisione ma poi bloccano la libera circolazione delle informazioni su sé stessi, vorrà dire qualcosa.

Sul traghetto di ritorno, quando c’è l’uomo che grida «Chi vuole il cameriere?» Tobin vuol dichiararsi colpevole, muore dalla voglia di soffiar via la schiuma da un boccale di birra ma, quando si fruga in tasca, si trova assolto per insufficienza di prove. […]

Su un sedile, appoggiata alla ringhiera, stava una giovane donna con completo per automobile rosso e capelli color ambra immacolata. Passandole accanto Tobin, senza intenzione, l’urta col piede, e […] mentre si scusa ceca di far la mossa col cappello. Ma gli dà una botta, e il vento se lo porta via, in mare. […]

Ecco, Tobin mi prende per un braccio, e dice, eccitato: «Jawn,» dice «Sai che stiamo facendo? Stiamo facendo un viaggio per acqua». […]

«Ascolta,» dice Tobin «non hai orecchie per il dono della profezia o i miracoli degli ispirati. […] Sta accadendo tutto, davanti ai nostri occhi. “Attenzione” dice “all’uomo nero e alla donna bionda. Ti daranno dei guai”. […] E dov’è finito il dollaro e sessantacinque che avevo nel cappotto dopo il tiro a segno?»

Al modo come la metteva Tobin, sembrava corroborare l’arte della predizione, sebbene a me sembrasse che accidenti di quella sorta a Coney potevano capitare a chiunque, senza che c’entrasse la chiromanzia. […]

All’angolo di una strada, sotto un lampione a gas, intento a guardare la luna sulla sopraelevata, c’era un uomo. Un tipo lungo, ben vestito, col naso che andava su e giù due volte, dal principio alla fine, come un serpente. […]

«Buona notte a voi, signore» disse Tobin all’uomo. Quello si toglie il sigaro di bocca e ricambia i saluti, tutto socievole.

«Vorreste dirci un po’ il vostro nome,» dice Tobin «per vedere quanto è lungo? Può darsi che sia nostro dovere fare la vostra conoscenza».

«Il mio nome» dice l’uomo, cortese «è Friedenhausman, Maximus G. Friedenhausman».

«La lunghezza è quella giusta» dice Tobin. «Lo scrivete con una ʽoʼ ?» […]

Appunto.

Chi raccoglie ed è in grado di manipolare i dati personali  ha in mano una leva del potere, legittimata dalla ignoranza di chi, come il mio amico Tobin, concede i propri dati personali. Che equivalgono a beni, con un valore monetizzabile, in teoria.

Qualcuno dice che, per non rinunciare alla libera circolazione, basterebbe utilizzare reti più piccole, autogestite e svincolate dai sistemi di trasporto dati planetari. Ma è un’autarchia che mi sembra impraticabile su vasta scala. E poi, qual è la libertà nel ghetto?

C’è anche chi sostiene che, se l’accesso a pagamento ai dati personali venisse istituzionalizzata, renderebbe più equa la distribuzione della ricchezza e meno incontrollabili i risultati delle speculazioni.

Immagino la conversazione con Madame Zozo:

«Mi direbbe se per caso soffre per amore?»

«Glielo dico per cinquanta dollari.»

«Oh, beh, probabilmente oggi pioverà. Rischia di bagnarsi, si ricordi di prendere l’ombrello. Mi deve 50 cents».

Eppure, mi domando: se uno squattrinato come Tobin fosse disponibile a farsi pagare, sarebbe altrettanto disposto a rinunciare alle proprie illusioni? E come convincere i colossi della rete, o i manipolatori dell’alta finanza ad accettare passivamente una così devastante restrizione del proprio campo d’azione? Senza una vera spinta popolare, che contrasti l’influenza delle lobbies sulle istituzioni, anche questo scenario non mi sembra realistico. Mi scoppia la testa, non se ne esce proprio.

«Bene, voi due,» dice l’uomo col naso, guardando in su e in giù se per caso ci fosse una guardia «Ho goduto immensamente della vostra compagnia. Buona notte». […]

«Ascoltate, uomo,» dico io «[…] cercate di capire la mia posizione in questo pasticcio. Secondo le mie idee, io sono amico del mio amico Tobin. È facile essere amico dei fortunati, perché rende; non è difficile essere amico dei poveri perché quelli vi gonfiano di gratitudine come un pallone, e poi ti fai fare il ritratto davanti al povero abituro con un secchio di carbone ed un orfano per mano. Ma mette a dura prova l’arte dell’amicizia far da amico ad uno sciocco nato. Ed è quello che sto facendo […] ed io lo assisterò nell’esperimento finché non si sarà persuaso che da voi non c’è da ricavare proprio niente». […]

Perché, alla fin fine, il punto è questo. Io sono disposto a credere alle favole, alle credenze, alle dicerie, alle deduzioni illogiche, se può tornare utile. Un vero amico è quello che ti segue anche dietro il sipario dell’assurdo, sapendo che, al termine del viaggio, lo attenderà comunque una delusione. Perché vorrà essere con lui per sostenerlo.

«Dovete sapere» dice l’uomo del destino «che il mio lavoro è di tipo letterario. Io vado in giro di notte cercando estrosità tra le folle e verità nei cieli.» […]

E poi l’uomo dice che deve andare a casa, e ci dice di accompagnarlo. […]

Io con la testa ci sono e non ci sono. Quasi direi a Tobin di girare i tacchi e andarci a bere qualcosa da soli. Ma lo vedo così determinato, immagino l’impatto dello smacco che sta per subire. L’uomo riprende, dopo una breve passeggiata in nostra compagnia:

«Vi prego di entrare nella stanza dell’interrato dove possiamo pranzare e partecipare a un conveniente rinfresco […] scendete questi gradini, […] io intanto entrerò dalla porta di sopra, e verrò ad aprirvi. Dirò alla nuova ragazza che abbiamo in cucina» dice «di farvi un bricco di caffè prima che ve ne andiate. Per essere arrivata tre mesi fa dall’isola, Katie Mahorner fa proprio un buon caffè. Entrate,» dice l’uomo «la mando subito da voi».

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*) Estratti dal racconto “La palma di Tobin” in O. Henry, “Memorie di un cane giallo e altri racconti” A cura di Giorgio Manganelli – Piccola Biblioteca Adelphi, 1980

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**) Illustrazione e citazione tratte dalla graphic novel di Alice Socal “Luke. Anche i cattivi invecchiano”  – Giuda edizioni. Una bella recensione si può leggere QUI.

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