La riga in mezzo

Quanti problemi. Mio zio Paolo, che è nato negli anni cinquanta e fa l’attore, dunque è un esibizionista (in senso buono, zio), mi rimprovera sempre: Su Facebook manchi solo tu! E aggiunge: Quanto sei antica nipote mia! Sì, è vero, oppongo una certa resistenza ai mutamenti epocali. Infatti per il momento non intendo cambiare il mio modo di essere: la mia vita si è sempre svolta e continuerà a svolgersi lontano dai social network*. Unico vezzo mondano: la scrittura. Se scrivi ti apri al mondo, non c’è niente da fare.

Questo è un ritorno di fiamma periodico e, come tutte le grandi passioni, spero e un po’ temo che non mi abbandonerà mai. Pressata dalla vecchia-nuova esigenza tornata a reclamare il suo diritto a esistere, ho dato le spalle a Fontana di Trevi e, gettando una moneta alle mie spalle, ho domandato: Che fare?

Nessuna risposta. Vabbé, era prevedibile, alla magia ormai credono solo le nuove generazioni. Invece noi tardoni, che siamo la maggioranza dei viventi nel mondo occidentale, dovremmo comportarci più razionalmente. Sono tornata a legger libri con spirito critico. E i libri mi hanno detto: Amica cara, leggi di più. Come no? Detto fatto, ho letto ancora, ancora, ancora. E poi sono tornata: Che fare? Leggi, leggi ancora bella, mi hanno risposto. Sicuri? Vai tranquilla. D’accordo, se lo dite voi.

Leggi che ti rileggi, prendendo appunti e anche un po’ di coscienza sul mondo descritto in quelle pagine, mi sono detta: Ma proviamo. Qualche raccontino non potrà far male.

Sì, via, tirate le somme qualche riscontro positivo l’ho ricevuto. Allora sono tornata alla carica: E adesso?

Mi ricordavo di aver letto di recente (al massimo l’anno scorso, era il 2011) che i blog sono ormai stracotti, il futuro poi già veleggia al largo di Twitter, figurati. Però io sto sfiorendo, che senso ha girarci attorno, non posso perder tempo a inseguire i giovani. A questo penseranno i miei figli. Davanti a me si è aperta una stagione fatta per tirare somme e cercare di spremere più sangue possibile da ’sta vecchia rapa. Ci ho pensato su tutto lo scorso week end.

Finché lunedì, ero al lavoro, mi sono girata sulla sedia operativa in tessuto blu con braccioli e base su ruote a cinque raggi e, molto, molto dubbiosa, ho attinto all’oracolo Kwruòuè per venire a capo della mia indecisione (Per Diana, vuoi o non vuoi comunicare, insomma! Intanto gridava nella testa in fiamme il demone decisionista).

Kwruòuè, una volta capito il problema, ha espresso il più benevolo dei suoi sorrisi e ha pronunciato un risoluto: – Perché no? – (Mi sembrò) quasi a sottintendere “Ma che bellissima idea!”

Evviva Kwruòuè, ho pensato, e invece ho detto:

– Perché io sono una persona riservata e aprire un blog cozza contro questa mia natura.

– E tu fai un blog anonimo, ce ne sono tanti.

– Anonimo. Dai, però, che brutto non prendersi la responsabilità  di scrivere… poi… cosa? Le quattro cacchiate che mi vengono in mente “per vedere l’effetto che fa?”

– E allora, che cosa vorresti scrivere?

– Qualcosa di più, di più…

-…Impegnato! – Ha fatto Kwruòuè fissando le mie pupille da vicino, come per assicurarsi di aver imbroccato la strada giusta.

– Magari, ma non ne sono capace. E poi, c’è questa cosa che i blogger mi fanno un po’ tutti l’effetto come di…

– Di cosa?

– Di profeti che parlano da soli nel deserto, di monadi leibnitziane che girano vorticose nel freddo spazio del web, di una selva di eremiti piazzati tutti sopra colonne vicine tra loro ma che non scambiano parola che con sé stessi, non so se mi spiego.

– Aaah.

– Ecco.

– Degli onanisti intellettuali, insomma. – (Ne fui certa) quasi a sottintendere È quello che ho pensato subito ma non te l’ho detto perché non ti offendessi”.

– Definizione perfetta!

– Hai visto? Hai avuto il tuo consiglio.

– Ti ringrazio tanto.

– E di che.

E così, tutte soddisfatte, siamo tornate a darci le spalle.

A questo punto farei ancora un passo indietro: Da dove è partita questa storia? Da un suggerimento, direi pure da un bicchiere “mezzo e mezzo”. Per Lola, a detta di Ukp (che sono altri due esemplari del mio stesso habitat lavorativo), si tratta di un bicchiere mezzo vuoto, interpretazione che la stessa Lola ha subito ripudiato, per domandarmi subito dopo che cosa ci avesse visto di buono, allora, Ukp nella metà piena del metaforico recipiente.

Nel mentre, stavamo attraversando in diagonale via Po, proprio lì dove fa il curvone su cui le macchine si fiondano sicure nelle loro lascive derapate. Eravamo, ci giurerei, così libere e belle sotto il sole dorato, ed era un attraversamento tanto perfetto, per il fatto che venivamo schivate tanto agilmente e senza inutili sclacsonate, che ogni ipotesi, anche la più assurda, mi sembrava plausibile.

– In pratica, – ho sospirato, in uno stato di simil-felicità – mentre tu mi “avresti”, nota bene il condizionale, mi “avresti” detto che aprendo un blog mi sarei finalmente tolta dal groppone di quelli che assedio con i miei vaneggiamenti, …

– Ah, no. Io non ho detto questo.

– Lola, e io che parlo a fare? Ho detto “Nota il condizionale” e invece, niente. Vabbé, non l’hai detto tu e nemmeno lei. È una mia libera interpretazione, così ti sta bene?

– Insomma. Allora?

– Ecco. Allora, invece, lei avrebbe detto che, quindi, quella era proprio una cosa che sarebbe servita a, insomma, a scrivere, ehm, e condividere quello che scrivo senza…

– Senza rompere le palle ai soliti noti.

– Sì, praticamente avete detto la stessa cosa, però…

– No, invece, lo vedi che sei tu che non mi ascolti: Io non ho detto questo.

– Senz’altro. Però, dicevo, l’avete non-detto tutte e due, seppure con qualche sfumatura diversa. Il problema non è tanto scegliere se assillare pubblicamente o in privato (pochi dubbi, hanno creato anche il reato su misura: lo Stalking), ma il fatto che io sono una persona riservata. – E su quella frase la mia mente ha smesso di accompagnare Lola per lanciarsi in avanti, rotolando verso Villa Borghese sopra solipsistiche elucubrazioni circolari, drogate anche, va detto, dalla temperatura feroce dell’ora di pranzo.

Perché in fondo a me è indifferente, se sia pieno o vuoto questo benedetto bicchiere. Io vedo soltanto una riga nel mezzo, come un bassissimo ostacolo che posso passare saltando una volta di qua e, hop!, una volta di là, senza grandi conseguenze.

[Che segno di raggiunta maturità: a me la riga nel mezzo era sempre stata antipatica, per via di una vecchia questione. La mia migliore amica al liceo se mi incontra ancora oggi in un giorno in cui sembro vagamente pettinata (opzione per me pressoché inutilizzata tra l’elenco delle attività mattutine), si fa una risata e commenta:

– Ma che è quella riga! Levatela subito, non ti si può guardare.

E io hai voglia a dire: – Guarda che non sta mica in mezzo: se noti, è leggermente sulla sinistra della testa, vedi?– Lei riesce a tollerarmi appena appena con la frangetta, che invece a mia madre provoca una repulsione immediata:

– A te la frangetta sta proprio male, figlia mia.

Detesto trovarmi tra due estremi (e oggi frequento poco sia l’una che l’altra ma questo, sia chiaro, per motivi molto meno futili)].

Allora è deciso, domani apro un blog.

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*) 22/01/2012 : Ho ceduto …ma con molte restrizioni

3 Risposte to “La riga in mezzo”

  1. ubik Says:

    W la frangetta

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  2. Nicola Says:

    Ciao Francesca,tutto bene?,non ci siamo piu fatti sentire,imperdonabili siamo…interessante il tuo blog:-)

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  3. Wish aka Max Says:

    Molto ben scritto. E su quel social network ti ho chiesto amicizia, se guardi la mia email è facile determinare nome e cognome 🙂

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