I piedi in terra e la testa tra le nuvole

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Lo so che non ci conosciamo abbastanza. E che potresti cambiare radicalmente opinione su di me dopo aver sentito quello che sto per dirti. Il bello è che di solito non mi importa, in questo poco tempo l’avrai capito che mi faccio influenzare il meno possibile da quello che pensano di me coloro che ben pensano. E, dai, tu in fondo in questa definizione non ti ci riconosci. Vero o no? Perché io ho questa abitudine, di tirar fuori la storia dell’UFO non appena entro in confidenza con qualcuno. Se supera la prova passiamo a quelle successive, altrimenti, amici come prima.

L’aggancio me l’ha dato l’articolo di Raffaele Sinibaldi (fisico de Roma ancorato in terra soltanto dal 46 di scarpe, si legge nel profilo, e posso crederci. Io invece devo sempre aggrapparmi a qualcosa o a qualcuno, immagino, a questo punto, per via del mio 38. O no?), Cercando tracce di vita nell’Universoospitato oggi nel blog Fisici per il mondo, (uno di quelli che mi piace di più seguire, e non c’è mai un post sul quale storca il naso).

Bello il tema (I motivi per cui sarei felice ci fossero altre forme di vita intelligente nell’Universo), bella la sua posizione (Fintanto che continuiamo ad investire in armamenti che senso ha cercare gli extra-terrestri, forse solo per cercare davvero qualcuno contro cui organizzare future guerre interstellari), bella la conclusione (Io mi auguro che l’ONU possa decidere uno sforzo globale finanziando SETI, così come potrebbe essere finanziato Desert Tech o altri progetti che potrebbero stravolgere il corso degli avvenimenti umani. …Ma le ultime righe, quelle che aggiungono valore, vi invito a leggerle nel corpo dell’articolo).

Leggevo, ma un po’ distrattamente, oggi mi ha preso uno di quei mal di testa sottili, infingardi, volatili, che non mi consente di fissare lo schermo molto a lungo. E allora quando rivolgo il mio sguardo altrove, mi afferra subito il demone del sogno, mette una mano sul mio fianco, lo stringe un po’ -sa che sono sensibile a queste attenzioni-, e con un tocco appena percettibile delle sue labbra in movimento, mi scivola sopra il lobo, verso il timpano, un invito caldo, detto con voce leggermente roca:

– Ehi, bella, lo facciamo un giretto assieme?

Così, languida e assorta negli ultimi ragionamenti seguiti, mi alzo e faccio il mio tour sonnambulico. Vò dove mi porta il demone, in pratica. In questo caso, che facendo due più due ho scoperto con grande meraviglia che era venuto il tempo di metterti alla prova (Se un poco mi vuole bene, non si allontanerà. Ho pensato -sbaglio? -), sono andata a cercare i ritagli di giornale di diversi anni fa, li avevo messi da parte pensando non sia mai tornino utili. Così ben da parte li avevo messi io, che ho trascorso un’ora in punta di piedi sull’ultimo scalino della scala, a scartabellare tra le scatole ficcate in fondo al ripiano più alto dell’armadio, dietro alle coperte di lana fatte ai ferri da mia nonna, al fiocco nascita del più piccolo di casa, a collezioni di scarpine fino al numero 23 (non sia mai servissero di nuovo… Ma che idiozia, Francesca!), dietro quintali di lettere e diari e altre amene cose dei tempi che non torneranno più, per mia fortuna.

– E perché non le butti allora?

– Oh, non farmi andare fuori tema, adesso.

Così mi sono fermata un attimo e ho pensato, glielo racconto lo stesso, intanto.

Secondo me era di settembre. Sì perché la lezione di danza iniziava alle sei e mezza, e quel giorno, un quarto d’ora prima, c’era ancora luce a sufficienza. Il sole, forse, stava ancora tramontando. Me lo ricordo perché la nuvolaglia stanca sopra l’orizzonte aveva quel colore acido che strideva a contrasto con il blu elettrico del cielo. Perché guardavo sopra i tetti bassi delle case mentre mangiavo la strada per non fare tardi? Perché è una mia abitudine, non per altro. Se non avessi l’abitudine di portare sempre in su lo sguardo non starei oggi qui a raccontarti questo. A volte rischio di cadere nelle buche, o prendere un palo in fronte, ma per lo più me la cavo bene. E poi, cercando in alto, di quando in quando raggiungo consapevolezze nuove.

Ma comunque, eravamo lì che ci tenevamo per mano, senza guardarci né parlarci, io e il mio ragazzo gelosissimo, quello che mi metteva sempre in imbarazzo con gli amici. Aveva preso l’abitudine di accompagnarmi ovunque. Io, finiti i compiti (ero in quinta ginnasio), mi precipitavo a danza con la borsa sulle spalle e non volevo altre distrazioni. Lui lo ritrovavo che mi attendeva sotto casa e, tutto sommato, nemmeno mi dispiaceva avere compagnia. Solo che si doveva correre. Un quarto d’ora di camminata svelta, non c’era tempo per perdersi in chiacchiere. Figuriamoci baciarsi sotto gli alberi al tramonto. Danza era più importante, a quell’ora.

Guardavo in alto, come sempre, tanto le scarpe (un numero più piccolo di oggi, sapevi che il piede cresce ancora dopo l’adolescenza?) sapevano il fatto loro. E capitò di scorgere un colorino rosa che duellava con un verde e un azzurro e un giallo. Piccoli rettangoli regolari e uguali per dimensione e forma, giocavano a rincorrersi cambiando posto tra loro a gran velocità. Mentre li seguivamo con lo sguardo, restammo tutti a bocca aperta. Io, il mio tipo e un altro paio di persone, tra le quali un cane al guinzaglio. Il gruppetto di luci goliardiche e sbruffone superò la sfilata dei tetti bassi di cui sopra, a una velocità tale che un aereo a bassa quota non avrebbe potuto sostenere. Non emisero alcun suono, non udimmo nessun rombo, nemmeno dopo che quelle furono sparite oltre le chiome dei pini. L’unica cosa che sì sentì, appena fummo in grado di esprimerci a parole fu un E quello che cazzo era? generale. Sono convinta che anche il cane abbia parlato.

Seguì tutto un dibattito che mi fece arrivare tardi alla lezione, ma ebbi da parlarne a lungo anche nei giorni successivi durante i quali, intanto, avevo comprato quotidiani, che riportavano tutti un’ondata di avvistamenti in Centro Italia. Dalla costa adriatica fino al Mar Tirreno. Tutti alla stessa ora. Mi dirai: Accidenti, sei pazza. Oppure: Accidenti, sei fortunata. Bé, potrò comprenderti, ma sappi che non sono né pazza, né fortunata (mi pare di dover concludere, dopo decenni di rimuginamenti). Personalmente propendo per l’ipotesi dell’esperimento militare segretissimo. Un qualche drone o altra diavoleria a scopo bellico (su questo mi ritrovo con le posizioni critiche di Sinibaldi). Nulla più, ma certo mi solletica l’dea di verificare un giorno che, cavolo, non siamo gli unici pupazzi del creato. E dunque, via pure ai finanziamenti della ricerca (ma anche a quelli di tutte le altre).

E questo è quanto. Pazza o fortunata? E tu, mi lasci o mi raddoppi, invece? Pensaci bene, a quello che vuoi dirmi. Medita le parole. Perché se è vero che non sono influenzata dai giudizi della gente, bé, è giusto che tu sappia che per me la gente non sei tu. E quindi è tutto un altro paio di maniche. Mi piace correre il rischio, ma questa è una di quelle situazioni nelle quali ho quasi la certezza del risultato. Spero bene, almeno. Intanto però devo dirti che forse quei ritagli di giornale li ho messi al sicuro giù in cantina, in mezzo ad altre quantità di cose dalle quali fatico a separarmi.

– È giunta l’ora, fattene una ragione.

– No che non è l’ora, non vedi quanti spunti di riflessione mi offrono di continuo? Se non sapessi che, cercando cercando, ho la possibilità di risalire a quello che provavo in certi frangenti della mia misera esistenza, soltanto tenendo in mano uno stupido ricordo, la concreta prova che io quelle cose le ho vissute davvero…

– Sei andata fuori tema.

– Ecco, ce l’hai fatta. Sei un demonio.

Tornando a noi, ho frugato fino a poco fa qui in casa, ma non ci sono proprio. Riproverò più in là. Invece, mi è capitato tra le mani un aeroplano memorabile.

Davvero indimenticabile. Volava a rischio di sforare gli spazi siderali e non sfigurava affatto al confronto con gli alieni.

– Hai mai pensato di zavorrare le tue scarpe?

– Ci penserò demone, ci penserò.

.

Red Hot Chili Peppers – Aeroplane

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9 Risposte to “I piedi in terra e la testa tra le nuvole”

  1. poetella Says:

    ma poi s’è saputo che cazzo era?

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  2. Maria Grazia Ortore Says:

    Da un 36 e mezzo, che inciampa sempre, ti direi che tutto sommato è bellissimo non essere zavorrati…
    che bello leggerti,e grazie per la citazione al blog!

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  3. mariano Says:

    Andare fuori tema è essenziale: così il G(UFO) diventa un volatile alieno, mentre l’idrovolante, specie se di carne ed ossa, può rimanere abbagliato nell’ammaraggio e scambiare un riflesso per luce propria. Ma la fisica delle particelle è un’altra cosa. Tanto di luce non si può che vivere, senza sapere neppure cosa sia…

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  4. raffaelesinibaldi Says:

    Un racconto nel racconto davvero intrigante. Sto ascoltando la colonna sonora che hai linkato al testo, sembra di vedere le lucine verdi stagliarsi nel cielo limpido e rincorrersi. Forse tra migliaia di anni avremo qualche notizia in più circa i nostri vicini extra-terrestri, per ora siamo a malapena capaci di arrivare sulla luna e di mandare qualche robot su marte. Al contrario sono certo di come sia meraviglioso lasciarsi andare con la fantasia leggendo e scrivendo anche su gli “interminati spazi” dei nostri blog.

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