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Con poca vergogna, e temendo molto il giudizio di Poetella, pubblico una brevissima poesia. :-p.
(Guardando gli stormi, una sera di novembre)
Così unite insieme, sferzate di pioggia e gelo
Negano ancora il senso del messaggio. Ma
Scoppia l’urgenza, il grido forte, allora
Nulla più resta, se non gettarsi al cielo
Slegati, aperti,
e accogliere il presagio.
Mischiati a caso nel gioco delle anime, loro non vedono
Formarsi, adesso, un segno che è l’essenza.
Meglio negarsi un ruolo in quel contegno unanime,
Piombare verso il suolo, cedere al buio,
Per la paura chiudere, oltre agli occhi,
anche le ali, interrompendo il volo.
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Di solito lo stormo lo capisce:
Ci sono refoli
Che fanno tremare l’erba e le corolle
Si può sempre restare a bassa quota
Piuttosto che morire
o diventare folle.
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13 novembre 2012 alle 11:24 |
Molto bella l’apertura di quel “gettarsi al cielo, slegati”, liberi.
Un po’ cerebrale il tentativo di animare lo stormo con essenze e intimità appena accennate, ma troppo sfuggenti per lasciare un segno percepibile.
Dolce il refolo che scuote le corolle sul filo di un cedimento alla follia; forse un cedimento più letterario che temerario.
Da lettore, un invito alla semplicità e alla spontaneità.
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13 novembre 2012 alle 12:05 |
Ci si lavora su… Aspettavo una critica costruttiva a questi “versacci”. La terrò da conto, questa tua, grazie Mariano
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