L’undici gennaio scorso, su La Repubblica è uscito, di Alessandro Baricco, “E ora le élite si mettano in gioco“. Mi è sembrato uno spunto importante, un indizio da seguire.
Il Post lo definisce un articolo “sulla crisi delle élite”; da più parti ne viene demonizzato il punto di vista elitario (non Mantellini). Ma Baricco FA parte dell’élite. Può SOLO parlare da quel punto di vista. In questo caso NON sta facendo fiction. Guai se si esprimesse da un pulpito che non gli appartiene, non ne avrebbe diritto.
Fa onore a Baricco auspicare che l’élite, e quindi pure sé stesso, si liberi dalla grettezza e dalle conseguenze che derivano dall’ostinata conservazione dei privilegi acquisiti, anche se non è realistico pensare che ciò avvenga. Non in quei termini. Né che sarebbe sufficiente e tantomeno giusto. Il cambiamento non può in nessun modo partire soltanto da scelte dell’élite, seppur basate su principi di giustizia ed equità (“Mettersi immediatamente al lavoro per ridistribuire la ricchezza. Tornare a occuparci di giustizia sociale….”).
Il vero problema dell’articolo sta nel fatto che, all’analisi lucida, democratica, onesta e aperta al punto di vista altro (quello della “gente”) contrappone una soluzione che non è tale ma piuttosto l’enunciazione di una vaga utopia. E sta nel fatto che Baricco è uno scrittore. E quindi nella facilità con cui propone (e noi accettiamo) la soluzione letteraria della chiosa. Una conclusione così inutilmente retorica, così non risolutiva, finisce per svalutare anche quello che di giusto e condivisibile invece è contenuto nel testo.
Io, Noi, siamo quelli allibiti tanto dalla perseverante miopia di portata storica dell’élite quanto per il fatto che “la gente” (dopo tutti gli strepiti e le esaurienti dimostrazioni pratiche dell’incapacità della politica attuale di rappresentarla) non trovi ancora nel proprio presente motivazioni sufficienti e dirompenti per FARE la rivoluzione. Siamo quelli che, pur barcamenandosi ogni giorno sui confini di un baratro senza ritorno, credono fortemente in ciò che Baricco esprime:
Da un sacco di tempo abbiamo imparato che è meglio sapere molto delle cose prima di cambiarle, che è meglio conoscere molti uomini per capire se stessi, che è meglio condividere i sentimenti degli altri per gestire i nostri, che è meglio avere molte parole piuttosto che poche perché vince chi ne sa di più. Abbiamo un termine per definire questo modo di difenderci dalla durezza feroce della realtà grazie all’uso paziente e raffinato dell’intelligenza e della memoria: cultura. Sostituirla con l’apparente chiarezza di un pensiero elementare, quasi una sorta di furbizia popolare, equivale a disarmarsi volontariamente e andare al massacro. Voglio essere chiaro: ogni volta che ci facciamo bastare certe parole d’ordine di brutale semplicità, noi bruciamo anni di crescita collettiva spesi a non farci fottere dall’apparente semplicità delle cose.
Quelli che, letto il Baricco sociologo dagli spalti dell'”élite” non lo stigmatizzano e neppure assentono soddisfatti o che, nell’indistinta massa della “gente” non smettono di leggere dopo le prime righe. Siamo quelli che si fanno domande.
Apprezzo senza riserve chi si dimostra pronto ad accendere il dibattito portando argomentazioni valide e inviti alla riflessione. Dunque delle sue parole io ringrazio l’Autore, non il portatore di privilegi, e ora aspetto che sia il primo a spogliarsi materialmente dell’ipocrisia e attuare ciò che auspica.
Altrimenti, devo proprio farmene un’altra, di domanda. Perché mai cotanta intelligenza ha partorito questo articolo, in definitiva quasi autolesionistico?
Mah.
Per concludere, ammetto di aver taciuto che in tutto il testo viene richiamato The Game, l’ultima fortunata pubblicazione di Alessandro Baricco, a sintetizzare il concetto di società digitale in cui viviamo e come misura della giustezza delle proprie tesi. Dev’essere un gran libro, ma ancora non l’ho letto.
Tag: Alessandro Baricco, Attualità, élite, le gente
16 gennaio 2019 alle 13:39 |
A Bricco hanno risposto con ottime argomentazioni Mariana Mazzucato e Paolo Di Paolo su palomarblog.
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16 gennaio 2019 alle 15:06 |
Grazie. …Ho una curiosità: “Bricco” è un refuso, un lapsus in stile omen nomen oppure un soprannome?
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16 gennaio 2019 alle 15:12 |
Molto semplicemente: è quello che succede quando digiti con il pollice della mano destra sulla tastiera virtuale dello smartphone mentre il labrador che tieni al guinzaglio con la sinistra ti trascina su e giù per le collinette di un parco cittadino 🙂
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16 gennaio 2019 alle 15:14 |
Scusami col Labrador per la distrazione del suo amico umano. 😊
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16 gennaio 2019 alle 15:16
Non se n’è nemmeno accorto 😀
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16 gennaio 2019 alle 15:15 |
Dimenticavo: “bric” o “bricco”, in piemontese, è la sommità di una collina, appunto.
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17 gennaio 2019 alle 17:28 |
Baricco non mi piace come scrittore, tanto meno come sociologo. Troppo vanitoso per scendere tra noi comuni mortali. Condivido il tuo dubbio finale: Perché mai cotanta intelligenza ha partorito questo articolo, in definitiva quasi autolesionistico?
Forse non è cotanta intelligenza
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17 gennaio 2019 alle 17:36 |
Forse era solo promozione… Ciao!
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17 gennaio 2019 alle 17:36 |
può darsi. Ciao
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