di Francesca Perinelli
Tutto riesce, s’incastra, si opera, si finalizza, sotto i bombardamenti, nella scomodità di mille richiami urgenti, a scarpe strette e sempre sull’emergenza. Gridiamo Ho fatto centro! battiamo il cinque a più mani, balliamo la macarena e puntiamo un nuovo obiettivo.
Quindi ritorna il ritmo dei passi minimi, in teoria i più semplici, per noi quelli più difficili da affrontare.
Dicono sia la chiave, lo dicono in tanti, da illustri maestri e testi a quelli che meditano ogni mattina; lo ratificano tante piene esistenze. Consiglia, chi ci vuole bene, di dare importanza al qui e ora.
Io ci provo. Da dentro le azioni inspiro, trattengo il frammento e zavorro di nuova sostanza ogni singolo fatto vissuto.
E ci credo, è talmente importante, che la cosa funzioni. Mi ci applico, anche se lo so bene che è una bugia.
Non c’è un vero qui, se più sto, più mi sento oscillare, immateriale e minima, tra palpiti e impulsi come scintille elettriche, coaguli di informazioni. E se l’ora è fuggita già dietro le spalle: i dati raccolti dai sensi, sono portati alla mente, catalogati, lavati e tagliati come insalatine pronte all’uso. Mentre scelgo la mia, giù nei campi, paradossali tartarughe/matrioska fanno andare nel panico il povero Achille, al quale non resta, in via prudenziale, che tornare di corsa a far gare.
Ho la precisa sensazione che non sappiamo niente del presente. La scena in cui agiamo sfugge continuamente da sotto i piedi e non c’è un vero qui né un’ora. La vita rischia di prendere una piega assurda e credere nel presente diventa una bugia bianca detta per necessità.
18 aprile 2019 alle 17:26 |
sì, il presente è scivoloso come l’anguilla. Crediamo di averlo in pugno ma ci sguscia tra le dita.
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