di Francesca Perinelli
Che hai fatto, Novecento? Guarda che hai fatto, anzi: ascolta. Le guerre maledette hanno traslato il gusto popolare dal sogno al suo lamento. Hai detto addio a scomode abitudini e ai pregiudizi e con sfaccettature di “moderno” estese le opportunità a ciascuno, non più in misura di quanto fosse in grado di apprezzarle. Le guerre sono state il letto dove il parto gemellare dell’unica regina sulla scena ha avuto come esito due opposti: semplicità rassicurante al popolo, muri di sperimentazioni verticali per l’élite. Se suoni uno strumento, sai. Sapere è allora potere, ma anche senza cultura si gode la bellezza – di questo in fondo si tratta. La musica degli avi poggia su basi complesse, ma rende comprensibili teoremi matematici, porta l’emozione nei cuori di pietra, stana l’intelligenza sopita, insomma si fa capire. Sonate e fughe fluttuano senza tempo e senza scadenze tra gli universi, così ogni contaminazione di genere che non ceda al quattro quarti poppettaro. Fate un esperimento. Sedetevi comodamente isolati e restate in silenzio. Quindi avviate, diciamo, Mozart nelle cuffie. Sonata K448. E ora fate la lista della spesa, rispolverate il greco, mettete mano a quel problema di lavoro, pensate ancora a una persona cara. Vi riesce, non è più una domanda ma una certezza. Musica che non fa appello a istinti, anzi, richiama la ragione. Se vi trascina in un flusso di emozioni che sembra ipnotizzarvi, non rema contro, affianca, non morde le calcagna, apre al possibile. Di certo non è lo specchio deforme di bassi istinti e povere vanità, e chiede solo di essere conosciuta e amata.
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18 luglio 2019 alle 21:13 |
meglio la classica che quella leggera.
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