Non aspettarti un sonetto che metta in riga, armato,
l’esercito dei giorni, nemmeno per un poco
che citi nomi e fatti, prima di fare fuoco,
schiantandolo in un grido sul selciato.
Ma che spavento, quale evento oscuro,
l’avvento delle schiere dell’aprico:
spaccano il muro e svelan, da una piccola
ansa, il vero, tutto, duro e puro!
Non chiederci una quartina che possa risarcirti,
fuorché ‘sto smorto fregno, tristronzo e pure gramo.
Il massimo che qui potrà apparirti
è un ricettario strano per un mamo.
31 marzo 2016 alle 23:06 |
Mi sembra d’essere calato in Toscana d’altri tempi. Ma ti confesso che il Tristronzo toglie ogni dubbio (seppur fugace) sulla contemporaneità del brano!
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4 aprile 2016 alle 10:10 |
Ciao Lois. Eh sì che suona suona acronico, è solo una parodia distratta di un canto senza tempo.
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2 aprile 2016 alle 16:06 |
Lo stile è incisivo, mi piace molto. Il grado di difficoltà è alto. Però l’ambiguità di certe “schiere dell’aprico” o del “vero, tutto, duro e puro” in termini di comprensione del senso (originale, da intendere) è tale da confondere anche chi è allenato ai sonetti e ai giochi di parole. Ecco perché la sostanza poetica non si deposita, sfuma e mi dispiace. Ma sono io che non capisco, e mi compatisco… Ciao!
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4 aprile 2016 alle 10:13 |
Prima di postare ero stata quasi tentata di accostare una parafrasi ma, no. Per quel che vale, meglio lasciarla così.
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