uragano – una trascrizione

8 aprile 2023 by

e tanti auguri

c’è gente che si sveglia una mattina qualsiasi della sua vita di merda e decide di cambiare vita e fa un’altra vita di merda e gente che di norma non scendendo lungo i nervi profondi del lessico pronuncia la parola subnormale come se essere normali fosse uno stato desiderabile

non mi stupisco per i cani che mangiano i loro padroni provate voi a mangiare i biscottini tutti i giorni. me ne sto rintanato nella mia beata ignoranza e non cerco motivazioni perché per i migliori motivi si fanno le cose peggiori. dopo cena mi bevo sempre un po’ di amaro disappunto per come le cose si mettono bene. non vedo il bicchiere mezzo pieno solo perché me lo sono bevuto tutto. hai notato che quelli che ti vogliono insegnare come avere successo sono proprio quelli che hanno fallito? sono meno interessanti di un’informativa sui cookies e sono convinti che gli si debba attenzione. c’è persino gente che ti insegna il galateo del sesso. ma pensa io che ho sempre guardato i pompini dall’alto in basso senza sentirmi mai superiore. oggi ho pensato al peggio e non era poi così male ma uscite dal mio cervello le mie parole si sentono ancora sole. quanto tempo ci vorrà prima che il tempo e la natura disegnino sul tuo volto la tua caricatura? la madonna appare il mago scompare l’herpes riappare. pensa alle cose importanti pensa alle cose importanti ma le cose importanti della vita cambiano di volta in volta e l’unica cosa che ci interessa veramente è avere ragione non è che vogliamo avere ragione vogliamo qualcuno che ci dia ragione. è difficile guardare le cose da un’altra prospettiva pensa a michelangelo quando dipinge la cappella sistina è chiaro che sta facendo del product placement. esci dai sogni convinto che il mondo funzioni diversamente ma non è così. devi chiederti cosa stia succedendo ma non ti accorgi che persino alle olimpiadi le bandiere le tirano su i militari. stiamo vivendo tutti nel frattempo. i nostri propositi sono sempre reazioni. non scegliamo ci muoviamo per riflesso. siamo pieni di post-positi. ripenso a certe emozioni forti: la mia prima macchina nuova in un giorno di pioggia la sera fresca di un bacio che non pensavo di dare la mattina di sole di una casa che ho amato e un nuovo inaspettato lavoro durante la nevicata dell’85. ma non sono stati i baci e le case le auto i lavori a darmi quelle emozioni. il succo è che a darti i palpiti dei tuoi sentimenti sono la neve la pioggia la sera il sole

siamo fatti del mondo e più ci lasciamo attraversare più siamo vivi. allora partiamo da questo sogno: esco dai box e sono davanti a tutti. la mia guida è sicura si direbbe che sono nato per la formula 1. hamilton vettel prost schumacher senna e tanti altri mi stanno tutti dietro non riescono a superarmi. mi sembra di avere qualcosa di magico provo perfino a rallentare per vedere se qualcuno riesce a superarmi ma nemmeno così ce la fanno. sto guidando con la mano sinistra e me li bevo tutti. è solo a questo punto che mi rendo conto che sto guidando la safety car. e dopo che avremo passato questo secolo a farci le foto nei luoghi degli omicidi a imbrattare di giudizi improvvisati le pagine social a sigillare i cervelli sottovuoto per proteggere le idee ci sentiremo migliori per avere riposto nei sacchetti di plastica biodegradabile la buccia della frutta. penseremo di essere gli unici ad avere capito un libro che ha venduto milioni di copie ma in fondo quello che ci dà veramente soddisfazione è capire quello che capiscono tutti. la frontiera del nuovo eroismo è rubarci il parcheggio a vicenda e la vedi negli occhi dei giovani una nuova speranza inespressa che ti dice comprami ho bisogno di ricevere ordini. e passati di moda i tatuaggi sarà la volta delle cicatrici delle scarificazioni non è la libertà che ha un prezzo la schiavitù costa molto di più. una fottuta distanza di sicurezza dal branco non si può acquistare. non basta un codice a barre per dire che hai scelto. anche se gli umani del futuro saranno una collezione di sentimenti acquistati sul catalogo ci sarà sempre un pazzo che si butta dove è impossibile non morire e sopravvivrà e tutti i saggi diranno di aver capito qualcosa ed è a questo punto che capisci che capire non è vivere

ogni giorno è come una processione e li vedi sfilare a branchi a frotte a gruppi a classi a carte a squadre. sfilano con ritmi preordinati per ritrovarsi la sera tardi mescolati a due a due nei letti intrecciati nelle membra. il letto è zona franca e si può a mancarsi di rispetto ma la luce del sole se sai guardare è un test quasi infallibile. guarda il bar: c’è un tavolo all’angolo dove sta seduta una signora con il cellulare giallo nell’altro tavolo c’è un tizio che scrive su un taccuino futile. tre persone sorseggiano riuniti all’abbeveratoio di un aperitivo un ragazzo scorre sullo schermo le foto degli ultimi 120 minuti. le vede non le guarda. un altro vede scorrere la vita mentalmente davanti a sé. sta per morire ma non lo sa. ma dentro cos’hanno dentro? una passa la vita a ingozzarsi di cibo perché nel momento in cui i sapori nevicano sulle papille gustative con la loro soffocante violenza riesce a dimenticare l’angoscia e la soffocante violenza. è il cibo a farla godere. uno sfreccia di notte con la sua macchina rossa nelle lunghe tangenziali perché quando il paesaggio arancione lo sfiora di fretta senza toccarlo riesce a scordare l’angoscia e il paesaggio arancione. è la velocità a farlo godere. uno organizza manifestazioni e partecipa ai gruppi antagonisti perché quando urla contro i problemi del mondo umano riesce a scordare l’angoscia e i problemi del mondo umano. è la protesta a farlo godere. uno studia le parole in fila per ripeterle e sapere cosa dire perché quando tocca gli argomenti nei rami più alti mentre tutti a terra masticano la sorte cieca riesce a scordare l’angoscia e la sorte cieca. guarda il bar. da quando ha cambiato arredamento è pieno di gente: stesso gestore stesse bevande stessi cibi. ma prima era vuoto. cos’è che ci attira nelle forme? guarda tra i cespugli. lo vedi quella specie di uovo di metallo più piccolo di una piccola ape car più piccolo di un motorino? è una piccola astronave. tu ci puoi entrare. entraci non è difficile da guidare i comandi sono intuitivi il sedile è regolabile. chiudi il portello siediti l’astronave è già accesa. sulla console c’è un altimetro regolalo a 150 metri e premi il pulsante rosso. stai salendo lo vedi com’è facile? guarda sotto guarda il bar: non è che un’appendice ancorata a un reticolo di case e strade sta dentro a un quartiere che è annidato in una città che è abbarbicata ad una escrescenza addosso al fiume. regola l’altimetro a un chilometro. stai salendo di quota. adesso tutto sembra un sistema di vasi sanguigni e fiumi. i fiumi sono come i capelli. nemmeno si vede più tutta quella gente intorno a quel partito quella gente che nemmeno sospetta l’evanescenza del proprio libero arbitrio. tutta quella gente che affolla l’ikea e chiama i mobili per nome. tutta quella gente che si ferma a guardare gli incidenti che affolla le spiagge i fine settimana e odia la gente che affolla le spiagge i fine settimana. tutta quella gente che fuma perché l’ha visto fare nei film. che si rifila le sopracciglia come cristiano ronaldo che alza il volume quando sente urlare che gode quando gli altri falliscono. tutta quella gente che pensa a un’altra donna quando scopa la moglie che affolla i musei dove le merci artistiche sono esposte in bell’ordine come in una camiceria perché come diceva laborit la borghesia che veniva dai campi ha sempre invidiato l’aristocrazia e la scimmiotta coltivando l’arte ma nell’unico modo in cui ha sempre saputo coltivare cioè come si coltiva un campo di patate. adesso tutta quella gente non si vede è come grani di pepe dentro un brodo e l’intero mondo assume la parvenza di un alone verde e azzurro. imposta l’altimetro a 200 km. come vedi quella specie di sfera in cui sono i mari e i fiumi e le città con dentro il bar ruota. ruota con altri milioni di sfere incastrata in un gioco di traiettorie inspiegabili. continua a salire di quota sali sali fin quando la notte è così buia da superare in profondità qualsiasi forma di nero tu abbia mai immaginato in vita tua. fin quando tutte quelle sfere diventano gocce in una nebbia di macchie di luce colorata pastello. forse tutto quello che stai vedendo è parte di altro e va a formare un dipinto che puoi capire solo se lo vedi da molto lontano. un dipinto in cui particolari sono granelli di colore rappreso

guardati intorno e senti. non vedi nulla ma lo senti questo rumore di fondo questo ritmo del cuore questo pulsare di vita gelida ed eterna questo affastellarsi di intenzioni mai espresse di traiettorie tentate di scontri epocali di deviazioni eterne. lo senti questo concerto di nulla questo suono del vuoto questo arrivare da lontano la senti questa mandria che calpesta il risucchio questo nero vagolare questo buio gridare al di là del tempo prima dello spazio nel recinto imperscrutabile delle sfere del divenire dove il solo pensiero fa rumore dove il rimbalzo è atteso e mai avvenuto dove le sponde sono fatte di ripensamento e intuizione dove il panno verde dell’infinito si fa giocare a bocce sulla schiena e decide il punteggio. dove qualunque giostra è un invito a scendere. scendi scendi di quota scendi scendi oltrepassa alle sfere oltrepassa rapidamente le nuvole infine punta verso il fioco barlume della tua galassia oltrepassa il respiro trattenuto oltrepassa il nero che adesso è meno nero punta all’azzurro della sfera che conosci. scendi scendi avvicinati ai mari ai fiumi. scendi nella città restringi l’orizzonte dei quartieri e adesso punta verso il bar. il bar dov’è seduta tutta quella gente tutta quella gente convinta di avere influenza su un tutto così grande tutta quella gente che si è bevuta la cazzata della farfalla dell’uragano tutta quella gente che pensa che bisogna organizzare il calendario dell’universo per l’ora in cui esce dall’ufficio tutta quella gente che si districa fra i minuscoli paragrafi convinta di aver capito la trama senza nemmeno sospettare l’esistenza della tela. e del ragno. ora scendi dall’astronave tanto l’astronave non esiste e nemmeno tu esisti sei solo il personaggio immaginario scritto sul taccuino futile di un tizio seduto al bar e sei letto da altri personaggi immaginari chiusi nelle mille stanze dell’universo sociale che cercano di capire l’albero senza vedere la vastità della foglia su cui hanno fissato la loro dimora e berciano di giustizia stravaccati sui loro delitti. hanno coscienze al teflon su cui lasciano scivolare i peccati grassi e tutti gli io con le loro motivazioni con le loro storie raccontate per capitoli anno dopo anno civiltà dopo civiltà. sono solo figurine statiche nell’immenso album raccolta di un bambino capriccioso

sono l’innocente mandato al patibolo sono la mano che muove il coltello sono la madre che uccide i figli sono la volpe col piede nella tagliola e la bocca sporca di sangue sono il nastro d’argento che si è spezzato e la lucerna d’oro che si è infranta. sono la carrucola caduta nel pozzo dell’abbondanza vanità delle vanità. sono il padre che ti ha violentata sono l’indeciso che provoca il disastro sono l’eroe che nessuno ha raccontato sono il bambino dimenticato in macchina sono il brav’uomo che lucida i fucili sono il servo che nessuno chiama per nome sono il capo cordata che ha messo il piede in fallo sono il pianista delle feste naziste sono l’impiccato dell’ultima esecuzione sono quello che sa aggiustare un’astronave sono la balena spiaggiata sotto casa sono la ballerina sul sedile passeggero sono il frocio sanguinante a terra sono il tossico di 70 anni a cui i ragazzi danno del tu. sono l’eterno guerriero imboscato in ogni conflitto sono l’assassino che l’ha fatta franca sono quello giustiziato al suo posto sono vicino a questo azzurro sopra questa neve in cima a questo monte e sto tenendo il fucile e sei tu che mi devi dire se devo o non devo sparare. sei tu il bersaglio il mio mirino è dritto al tuo cuore ma devi decidere se darmi l’ordine. tu sei l’agnello io sono solo dio

eri piccolo e ogni volta che pensavi di avere scoperto qualcosa qualcuno si impadroniva della tua scoperta e la usava per dirti come eri fatto e cosa andava fatto. poi hai desiderato e qualcuno si è impadronito del tuo desiderio e ti hanno detto che se volevi avere quello che volevi avere dovevi produrre quello che ti dicevano di produrre. poi hai lavorato e ogni volta che davi forma a un’idea qualcuno si impadroniva del tuo lavoro e ti diceva che da solo non potevi dare forma a niente. poi hai protestato e qualcuno si è impadronito delle tue domande per risponderti che il tuo lavoro non era tuo. poi ti sei arrabbiato e qualcuno si è impadronito della tua rabbia e ti ha detto che la rabbia doveva andare in una direzione ma non era la tua direzione. allora hai guardato il cielo ma qualcuno si è impadronito del tuo sguardo per farti vedere quello che voleva che vedessi

è stato credo trent’anni fa nell’estate dell’’85 sui monti della sila quando io e i musicisti fermiamo il furgone i ragazzi hanno visto un gruppo di pastori riuniti tra gli alberi al suono della musica di una fisarmonica. i musicisti tirano fuori dal furgone i loro strumenti e si uniscono ai pastori. suonano con loro dando luogo a una taranta indiavolata un paio di pastori si mette a danzare. la luce del sole si faceva strada a fatica tra le foglie fitte e i raggi fendenti illuminavano con precisione piccoli sbuffi di sabbia e polvere sollevata da quei piedi umili e scalzi. sono certo di non mentire se dico che tra quegli alberi al suono di quella danza talmente antica e magica che i piedi non toccavano terra c’erano gli dei. quel momento è durato giorni ore forse un attimo. quel momento è scritto per sempre nella memoria di tutti noi nella memoria degli animali che ci spiavano nella memoria degli enormi alberi della sila c’è un punto all’interno dei molti cerchi di quei tronchi corpulenti. quel punto ha 30 anni quel punto siamo noi in quel momento quando abbiamo visto danzare gli dei

Natalino Balasso

<https://youtu.be/tcbuFfN1ovk>

18 gen 2018 – URAGANO (i coleotteri sono più importanti degli americani)

Poema da una stanza sul contemporaneo. Il titolo è una frase di Luigi Meneghello.


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