
Rosa Covarrubias ritratta da Tina Modotti
Una pietra nel letto del fiume prende la forma che le dà la corrente e il continuo contatto e sfregamento contro le altre pietre. Il corpo, questo corpo, col passare degli anni viene come smussato, levigato, raggiunge la sua verità. Perdendo il comodo e robusto anonimato degli strati più superficiali, come un sasso lavorato dallo scorrere dei giorni, si fa sempre più delicato, più singolare, e più prezioso. Per questo capita di scorrerne le singole parti e rendersi conto di dover loro una cura attenta. Capita, avanzando nell’impreziosimento, di correggerne l’inclinazione delle sfaccettature perché catturino meglio la luce o di dover rimediare alle sbeccature procurate dagli scontri con la Storia. A ogni aggiustamento segue una rinascita. Occasioni da non mancare.
Il corpo, questo corpo, curato quanto l’entità autocosciente che lo pervade e che per convenzione si può chiamare anima, finisce col coincidere sempre più con la me più vera, quella che prende forma dallo scorrere dell’esistenza e dal continuo contatto, scontro e sfregamento con tutti gli altri sé che incontra.
Sono la consapevolezza e il rispetto, l’irrobustimento del nucleo, la saldatura a questo delle forme più esteriori fino ai semplici moti di spontaneità, che consentono il salto nella naïveté, l’immersione nella condizione sciamanica, l’abbandono alla contemplazione e alla primitività di gesti e comportamenti. Non fughe ma avvicinamenti a cui non sono funzionali escamotage, né isolamento, né amplificatori del sentire. È tutto qui, che aspetta solo di non avere altre barriere per il suo utilizzo che il presentarsi di un’opportunità colta dalla lucida coscienza di esistere.
Namaste.