Ho acceso il caminetto, anche se il termostato segnava diciotto gradi. Volevo mangiare un mandarino e, si sa come succede, uno non è bastato. Ne ho preso un altro e poi un terzo e un quarto. E poi avevo davanti un mucchietto di bucce double-face, bianche e arancioni, che ancora spargevano intorno un’idea vogliosa di agrumi. Qualcosa di slegato dal palato. Golosità olfattiva, se si può dire così perché io, in pancia, di fame non ne avevo più.
La pigrizia mi ha fatto pensare di dare fuoco alle bucce con l’accendino dopo averle messe in una ciotola. Ma le ciotole in questa casa o sono di legno in finto stile rustico oppure di porcellana decorata. Avrei rischiato di ucciderle o renderle storpie per sempre. Non c’è in me tanta cattiveria. E non avrei abbandonato per nessun motivo al mondo il divano. Sempre lei, la pigrizia, mi ha ricordato che le ciotole si nascondono nei pensili in cucina e l’accendino più alla mia portata era sopra alla mensola del caminetto. Che in quel momento lanciava occhiate offese, da bambino in castigo. Ma come, sembrava domandare, hai questa gran voglia di atmosfera e pensi a tutto tranne che ad accendermi?
Per lo stress da indecisione ho schiacciato un pisolino. Quando ho riaperto gli occhi, intorno a me era buio e dalle finestre vedevo le altre case con le luci accese, fuori era calata la sera e io sentivo freddo.
Avrei potuto allungare la mano e afferrare quel plaid a quadri posato sul tavolino o avrei potuto alzarmi e accendere il riscaldamento.
Dal balcone accanto al mio, il gatto miagolava, doveva essere stato lui a risvegliarmi. Una volta ho postato un video di quel gatto su Instagram, inquadravo lui che appariva e spariva tra i pali della ringhiera. Un gatto tutto bianco, che a un certo punto si è seduto, si è messo a guardare me che lo filmavo e ha fatto: Miao.
Lo hanno visto tutti, quel video. Ho avuto un sacco di mi piace, ma non da una persona. Così, quando qualche giorno dopo ci siamo visti, eravamo proprio qui sul divano, e si è udito quel miagolio tanto vicino, ha detto: Hai un gatto? No, ho risposto io, è quello dei vicini. Gli ho fatto un video, lo vuoi vedere? E, invece della galleria, ho aperto Instagram. Te lo ricordi che siamo amici su Instagram? Possibile che non hai schiacciato il cuoricino?, volevo domandare, e invece ho continuato a sorridere e ho messo il telefono sotto al suo naso. Ah, è proprio carino, è stato il suo commento. Sembrava che non gliene importasse niente. Figurarsi se importava a me. Così ho lasciato perdere. Ho posato il telefono e gli ho sostituito il mio naso davanti all’altro naso. Ci baciavamo bene. E facevamo bene un mucchio di altre cose. Era estate e faceva molto caldo, stavamo sempre nudi.
Invece qui a pensare all’estate mi stavo intirizzendo. La casa era al buio ma sapevo che le mie dita erano di colore bluastro. All’improvviso tutto il corpo si è scosso in un brivido, le gambe si sono irrigidite e io, hoplà, non ero più sul divano. Ho preso il plaid e me lo sono buttato sulle spalle. Dopodiché, invece di accendere il termostato, ho infilate alla meglio le ciabatte e le ho trascinate a passi corti fino al camino.
Non è stata questione da poco. Ho iniziato a pulirlo con una pezza bagnata, ho spazzolato la griglia della ceneriera, poi ho infilato la testa nella cappa per vedere che la canna non fosse ostruita, e per fortuna si vedeva il cielo. La faccia però mi si è riempita di fuliggine, quindi ho preso una pausa per lavarmi. Ho anche messo sul fuoco una caffettiera e steso un bucato di calzini. Il gatto non miagolava più. Mi stavo rimboccando le maniche di nuovo per tirare fuori dalla nicchia i pochi ciocchi avanzati dall’inverno scorso, quando ho sentito odore di caffè.
Io il caffè non lo bevo di fretta, e in piedi solo al bar. Di nuovo sul divano, di nuovo a luci spente, l’ho preso sorsi calmi, alternando occhiate al camino e altre alle sagome nere fuori dalla finestra. Il giardino di questo condominio, coi sempreverdi altissimi e, in basso, le sue siepi, il vialetto di lastre di pietra irregolare, il pergolato col tavolo e le sedie ripiegate intorno, i vasi con le ortensie di ogni colore. Quanto mi piace.
Potevo solo intuirne la presenza, ma la certezza che là fuori tutto restava intatto come lo conoscevo, bastava a darmi la serenità per tornare a guardare all’interno. Il caminetto era pulito e pronto all’azione. E io avevo finito il mio caffè.
Ho gettato tra le fiamme le bucce che, raggrinzendo, scoppiettanti, sprizzavano scintille ed esalavano come ultimi respiri, nel buio rosso intorno, il desiderio arancio del primo pomeriggio. Stavo in piedi nel pieno della soddisfazione e contemplavo l’opera finita quando, alle mie spalle, si è rifatto vivo il gatto.
Era lì, dietro la ringhiera, e miagolava nella mia direzione. Non che ci fosse molto da pensarci su, l’ho raggiunto all’aperto, gli ho messo a disposizione il corpo accovacciato, e, davanti al muso, il palmo che odorava di brace e mandarino.
Lui, collo allungato e testa sconfinata nel mio spazio, mi ha picchettato col naso freddo e umido. Avvertivo una tensione, una specie di aspettativa. Stavo guardando il gatto come il mio riflesso in uno specchio, quando ha attraversato il confine in due facili passi, ha fatto un breve salto e me lo sono ritrovato in braccio.
Tenere traccia di ogni buon momento per non dimenticare i doni della vita. Ma, anche, per cercare testimoni della mia esistenza. Ho iniziato un video dal divano. Il gatto, che tengo tra le gambe, fa le fusa a occhi stretti con la mia mano abbandonata sopra il suo mantello. A pochi passi, il fuoco del camino. Clicco sul simbolo della condivisione ma qualcosa non mi fa andare oltre.
L’aroma degli agrumi, la pelliccia morbida al tatto, la sera del giardino alle mie spalle, il tepore, frutto del mio lavoro, che mi riscalda il corpo. Il tempo che scorre lento. Li condividerei, è vero, ma non postando un video. Non potrei, non basterebbe. Riceverei, sicuro, un mucchio di mi piace e, forse, ne mancherebbe ancora uno.