un salmone era saltato da quota zero alla cima degli alberi più bassi senza essere visto. sotto era molto buio – il sole già calava, anzi, il sole non si era fatto vivo per niente e nonostante questo i salmoni si erano dati appuntamento appena al di sotto dei primi aghi di pino. galleggiavano – non erano gli uccelli, quelli erano fuggiti appena dato un senso allo scrocchiare convulso dei rami, uno sciabordìo vigoroso, di certo non opera del vento. molti erano finiti sotto le grondaie a dare il cambio ai pipistrelli, alcuni si confondevano tra i panni lasciati ad asciugare sui balconi, i più lottavano per la protezione di portici e pensiline. era una serata fresca, col cielo squarciato a strisce che in pochissimo tempo furono di colore rosa, come i salmoni che ci saltavano dentro. galleggiavano – e poi saltavano, a uno a uno, a due, a tre, a frotte, a molti, finché il rosa non diventava troppo carico e loro ripartivano a saltare e risaltare verso l’alto. e come risaltavano. chiunque mettesse il naso fuori casa poteva solo strabuzzare gli occhi e, dopo un secondo di esitazione, immortalare quel cielo irreale per poi affrettarsi a distogliere lo sguardo per mostrare le immagini ad altri, che a loro volta mostravano in giro le proprie. alcuni ne facevano un dono esclusivo. solo pochissimi si limitarono a rabbrividire, non riuscendo a percepire un solo cinguettìo nella sera, all’improvviso grigia, e quindi nera, e a domandarsi dove fossero finiti anche i salmoni.