Gennaio. È inverno e tutto è molto scuro.
Tutto costa fatica, perfino la discesa. L’ingombro delle vesti trattiene in sé la vita, negando alternative al segno negativo. Mentre il fondale, al tatto, d’inverno, è ancora più vischioso. Racchiude e immobilizza. Un libro se ne sta a pagine aperte e ferme. A osservarle bene, ci sono, rapidi e brevi, esistono, minimi fremiti, che ne attraversano le fibre sul punto di sfilacciarsi. Vorrebbero seguire le correnti striate di amaranto. Ma sono pagine di un rosso troppo vivo.
Il fondo marino le invischia, è limaccioso e torbido: le salva dai predatori, dalla donna che sta nuotando in circolo e cerca la corrente come se ne sentisse l’odore. Onde lente e cangianti le scorrono sul viso. I suoi capelli non seguono il canto dell’intorno, ma vibrano di un rosso un po’ più vivo. Onde tra i cui intervalli si insinua quello sguardo, letale e inconsapevole. Anch’esso rosso vivo, dentro al buio.
Lo vedo un attimo prima che lei allunghi il braccio scarno e chiaro, che indichi, con le sue lunghe dita, nella mia direzione.
Rosso e pesante il sangue che mi invade, che riempie in un istante il mio cervello. Rosso come l’inchiostro che ha vergato quelle carte, pesante come le parole di ogni riga.
Ne sono più che certa. Il gelo viene da lì, dal tocco della mano su quei fogli. Ne sono più che sicura. Ecco la morsa, ecco la stretta fatale. Ne sono io l’autrice. Ecco, mi ha preso per mano, la donna che non mi lascia più e che si accosta, la bocca sulla mia, per togliermi il respiro. Ecco, ora perfino il sangue diventa troppo scuro perché io possa vedere oltre il fioco lume del presente.
Questo racconto ha origine da una suggestione suscitata dal film “Il mistero dell’acqua” (di Kathryn Bigelow, USA, 2000) tratto dal libro The Weight of Water di Anita Shreve.
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