Leviamo l’ancora, nemmeno me ne accorgo, sospesa fuori bordo con la vista, ci ritroviamo già al largo che non ho smesso mai di fotografare ciò che vedo.
C’è luce intorno a noi. Si posa sul pennone, sulla prua della barca ormeggiata, stavolta alla fonda. Su Mauro e Lino che giocano come se fossero loro, anziché noi, due fratelli, come se si conoscessero da sempre. Che si lanciano dal bordo della barca uno dopo l’altro.
Il corpo di Mauro è il monumento che si staglia al centro della mia piazza interiore. Scopro me stessa in muta adorazione, finendo a compatirmi come sempre.
Dietro di loro, ricostruisco il porto lontano, nella partenza che non ho salutato. E quindi la scogliera. E quelle rocce.
Sono soltanto zolle, sassi e vento, ma è il promontorio giusto. Io lo fotografo intanto che mi abbasso fino a vederlo scomparire, mentre mi sdraio a prua. Dal fondo, dal vento arriva appena un bisbiglio, Simona mi domanda:
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