Il post originale è apparso su Cartaresistente il 15 marzo 2013
«Il maestro è un mi… È un mi…», il maestro chiama gli alunni a completare la frase. «Il maestro è un mi… È un mi…» . «È un missile!», rispondono i ragazzi in coro, con la loro ingenua sfrontatezza. E il maestro strabuzza gli occhi: «È un missionario! È un missionario!».
Lucio Mastronardi, Il maestro di Vigevano, 1962
Coraggio. Abbiamo scavallato l’anno. Finite le vacanze di Natale, adesso è tutta una tirata fino a Pasqua. Dicono: “Che bel mestiere fare la maestra”. E io sempre lì a sorridere e a cercare di non guardarli in faccia. Guardo, invece, fuori dalla finestra, e vedo un camion che sfreccia sulla stretta strada vicinale. Prima di condannarlo (che non si va così veloce nei centri abitati!), io penso: “Quanto mi piacerebbe guidare un camion”. Che corre, corre, da un punto A verso un punto B, lontanissimo. Ognuno sa, glielo ha insegnato una maestra come me, che per due punti passa una sola retta, e io vorrei che fosse solo mia, la retta. La percorrerei tutta, guidando giorno e notte, pur di allontanarmi da qui il più possibile.
Non la volevo fare, la maestra (in classe ero quella con i compiti più colorati di rosso e blu). Le mie compagne sì. Quando ci chiedevano: “Cosa farai da grande?” Loro, che oggi sono scienziate, capitane d’azienda, negozianti, mogli mantenute, attrici, suore, rispondevano in coro tutte “Maestra!”. Io volevo tanto lavorare in fabbrica, come mio padre. Lui manovrava il grande tornio della fabbrica Zecchini. Faceva le rotaie dei treni, mio papà. Era grande e forte, e io lo amavo al punto che avrei voluto diventare come lui. Poi avvenne l’incidente, è intitolata a lui e ad altri nove operai “caduti sul lavoro” la lapide, seminascosta dall’edera, appesa al muro d’ingresso della fabbrica, che è uno sfascio. Ormai è chiusa da oltre cinque anni. A volte mi chiedono di partecipare a certi convegni in memoria del Dottor Zecchini, il suo fondatore. A mio padre, invece, non pensa più nessuno. Rispondo sempre: “No, grazie. Quel giorno non c’è chi mi sostituisca coi bambini”. Che poi sarebbe vero, ma basterebbe dividerli, e mandarli in altre classi. Però non mi va. Mi hanno costretta loro a crescere veloce. A fare quel concorso controvoglia. Portare soldi a casa per mantenere altri, prima solo mia madre, adesso anche mio marito, che dalla fabbrica è stato buttato fuori quando ha chiuso, e non riesce più a trovare lavoro.
Io odio fare la maestra, perché ne sono costretta. E quei piccoli tiranni che devo tenere a bada giorno per giorno, loro mi sfibrano, mi spossano. Fosse per me, su questa terra non ci sarebbero bambini. Nessuno no, salverei il piccolo Marco, sempre schernito da tutti. Con quella madre dagli occhi cerchiati e tristi. Marco non grida mai, parla con me come un adulto, mi racconta i sogni. Se ci conoscessimo fuori dalla scuola lo porterei a vedere le corse delle auto, gli direi che sognavo anch’io le stesse cose, da bambina. Ci inventeremmo un padre che non sparisce mai. Per lui avrei solo elogi e incoraggiamenti. Ma ora devo correggere i compiti, e so già che il suo dovrò segnarlo tanto. Almeno non dovrò farlo con una matita rossa e blu.
Compito in classe, Marco 8 anni
Io mi chiamo Marco e ho una sorellina più piccola di me e io ho 8 anni. Vado in questa squola elementare e molte volte non ci voglio andare perche devo stare seduto tanto tempo e mi anoia. La mestra mi fa copiare sulla lavagna i dettati e a me ha scritto sul quaderno una parolache non mi piace e la mia mamma quando lo ha letto è stata male piangendo. Io non voglio usare la forcchetta e il cotello e non mi piace tirare la cerniera del giubbotto rosso e mi piace la sciarpa del Inter che mi ha regolato mio papà. mi piace scendere le scale a zizag piano e mi fermo ogni tanto e conto gli scalini. Mi piace anche disegnare ma no mi piace scrivere le parole e i dettati della maestra. In nella squola mi piace stare da solo e non mi piace parlare con li altri bambini che dicono cose stupide e che io no si capisce niente. Adesso che mio papà e andato via da casa dalla mia mamma la mia mamma piange tutti i giorni e io sono triste per lei e non voglio più che lei mi legge un libro o mi canta una canzone prima di dormire perche sono grande. io facio brutti sogni a volte capita che facci la pipì a letto ma la mamma dice che non inporta. Dice che il papa non viene più e io capisco perche non viene più che ha una che si chiama giulia e è brutta e picola e non e come la mia mamma. Io sono molto amico mio di Federico che qualche volte si comporta male con la maestra e io so che è un bambino buono che però penso lo fa apposta perché poi la classe ride. La mia sorellina è piccola piccola e sta sempre dalla nonna che abita sopra la mia testa e la mamma la prende solo quando la sera viene a casa dal lavoro. Io non sono capace di chiudere le scarpe che anno i lacci e la mia mamma ha comprato le scarpe di picaciu che sono dentro a una scatola blu e non anno i laci. Io ieri sono caduto perché dalla nonna sono incianpato sul tapeto e mi sono fatto male a un bracio e adesso mi fa male che quasi non lo faccio questo compito in classe. La mamma mi ha portato dal dottore che ha deto una parola che non mi piace ha detto dislesia e io non voglio essere quella parola. proprio questo sabato qui vedo il mio papa stiamo per terminare la nave dei pirati che è bella bella e poi andiamo a provarla sul fiume. Io da grande voglio fare il guidatore di macchine della ferari che sono ricchisimi e corono in ogni posto veloci. Adessso io vado a portare il compito alla maestra e io penso che mi dice come al solito che ho fato tanti erori e che devo legere quello che ho scritto perche così li vedo. Ma io dico sempre alla maestra che è il suo mestiere fare questa cosa.
Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 7
Disegno di Fabio Visintin
Tag: Bambino, Cartaresistente, Davide Lorenzon, Dicotomie resistenti, Fabio Visintin, Francesca Perinelli, insegnamento, Maestra, reblog d'antan
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