Il post originale è apparso su Cartaresistente il 10 maggio 2013
Signori, benvenuti nel mondo della realtà: non c’è pubblico. Nessuno che applauda, che ammiri. Nessuno che vi veda. Capite?
David Foster Wallace – Il re pallido, 2011
Mi sono confidata con la mamma, che la sa lunga. Mi ha detto: “Figlia, tieni gli occhi bassi, per ora non parlargli, se non per lo stretto necessario e vesti in maniera casta”. Ancora qualche giorno di timidezza e, all’improvviso, mi sono come snebbiata. Lui, ormai è chiaro, torna ogni sabato mattina, sempre alla stessa ora e va di fretta: le otto e trenta, minuto più, minuto meno. Io apro la cassa e sgranocchio qualche snack che mi porto in borsetta, sul lavoro non sarebbe consentito, ma in fondo non lo sa nessuno. E poi così mantengo in forma le mie curve, sono sicura che è quello che gli piace di me. Immagino come mi guarda già dall’ingresso, e smanio e mi agito nella biancheria intima che indosso solo per lui, fino a che non appare. Non mi è sfuggito che utilizza il cestello con il manico, ma senza alcun motivo: ha anche la moneta per il carrello grande. Ogni tanto gli scivola “casualmente” dalla tasca e, proprio stamane, mi è rotolata sotto i piedi, costringendomi a piegarmi in basso. In quel momento si è sfilata una ciocca di capelli dalla coda, finendo nella piega tra i seni. Sapevo che i suoi occhi spaziavano su e giù per tutta la mia generosa superficie, ora che gli davo la schiena. Mi sono risollevata a fatica, quasi non respiravo, con la fiche stretta tra le dita che tremavano. Gliel’ho resa. Ho sbirciato il conto e guardando altrove gli ho detto il totale con la voce più indifferente che ho potuto. Lui ha teso la mano col denaro, e nel riceverlo, con i miei tanti anelli messi a bella posta, ho provato il brivido della sgualdrina. Anche oggi ho vissuto la mia emozione quotidiana, e senza disattendere i consigli della mamma. Un giorno si dichiarerà e finiremo per sposarci, credo. Per uno così, so già che non sarò mai di peso.
Sabato mattina 8.31 davanti al supermercato “X” il parcheggio è già pieno di macchine, ho fretta, devo prendere due, tre cose e scappare. Cerco un carrello e un homeless mi chiede subito l’elemosina, tenendo stretto l’ultimo della fila. Mentre gli spiego che uso un cerchietto di plastica al posto della moneta, lui afferra l’obolo che una signora con pelliccia consunta gli mette in mano, nemmeno ringrazia e continua a fissarmi per impietosirmi. Mi giro ed entro nel supermercato, prendo un cestello, va bene lo stesso. Una rapida occhiata al desolante panorama molto ben illuminato: etnie ad assetto variabile; anziani che si intralciano l’un l’altro; commessi che cercano di stipare gli scaffali; musica di eros Ramazzotti… sono le 8.39 lo stomaco mi si chiude. Cerco di infilarmi velocemente in una delle corsie, quasi in apnea facendo attenzione a tutto anche alla nausea. Prendo velocemente quello che mi serve evitando gli imprevisti, quasi un percorso ad ostacoli. Sono alle casse, la fila è lunga e nessuno si interessa di nessuno, nessuno guarda nessuno. Stranamente mi trovo sempre difronte alla cassiera che peserà un quintale, più che seduta alla cassa è “inscatolata nella cassa” modellata a giusti incastri. Muove solo la testa e le braccia per fare quello che deve fare. Trucco pesante in azzurro, nessuna gentilezza e le uniche parole che pronuncia sono relative al prezzo. Pago, mi scivola il cerchietto di plastica, lei si china con una fatica disumana, lo raccoglie, me lo porge sudata, sfigurata in viso e noto che ha parecchi anelli alle dita, sono stringhe infossate nella carne. Le sue mani sembrano salami, il mio stomaco si chiude ancora un pò. Esco, salgo in macchina, sono le 9.30 è passata un’ora e sento che devo andarmene da qui per far passare la nausea. In alternativa, restare fermo, respirare profondamente e pensare a qualcosa di positivo. Si, ma cosa?
Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n.13
Disegno di Fabio Visintin
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