Il post originale è apparso su Cartaresistente il 26 aprile 2013
La vita ha le parola che può, la fiaba le parole che deve.
Aldo Busi, Guancia di tulipano, 2001
No, non posso venire con voi stasera. Niente, un po’ di febbre, forse. Per carità! Non mi serve nulla, non passare. Grazie comunque, vado a letto presto. Mi tiene compagnia il mio Cucciolo, ci faremo le coccole, io e lui. Un film. Penso che guarderemo un film, forse un vecchio cartone. Che ne pensi, Cucciolo? Ha detto di sì. Tesoro della sua padrona, tesoro. Ma fermati oh, oh! Ora ti lascio, mi sento troppo debole per parlare al telefono e insieme cercare di tenerlo a bada. Cucciolo, stà fermo, su. Quant’è impaziente. Ciao, sì, certo, ciao.
Sono malata di fotofobia, perciò i miei amici mi cercano la sera, quando sono un diamante da 28 carati che emana luce propria. Se mi serve qualcosa chiamo, ottengo ogni favore a domicilio, nessuno mi rifiuta nulla. Sono bella. Sono giovane. Sono perfino bionda naturale. Lui pure viene sempre di notte. La volta che è entrato qui ha detto Buonasera, e subito dopo A terra e apra bene le gambe. Io, che pure ero abituata alla poca luce, non lo avevo visto. Mi sono spaventata. Una voce isolata, una frase esplicita e imperativa dal nulla? Lui allora, che è un impaziente, fece da solo ciò che stava chiedendo. Da quella volta, risolto il problema medico, siamo una coppia. Non faccio nient’altro che contare i minuti che ci separano.
Ho sempre avuto uomini, se non brutti, eccentrici. Persone che pensavano di non aver speranze con una come me. Che neanche mi si avvicinavano, ma che avvicinavo io, lasciandoli di stucco per la sfrenatezza con cui manifestavo il desiderio di averli come amanti. Un uomo bello è sempre narcisista, non si accontenta di una donna sola, si fa desiderare. E quando la storia si fa seria, ti molla per un’altra. Con Cucciolo spero di non aver preso un abbaglio. Non per la mia malattia, lo dico per il cuore. Mi sono innamorata e, invece di essere felice, perdo tempo a piangere, pregando che non mi lasci mai. Spero che accetti di venire a vivere con me, non riesco più a sopportare che abbia una vita lontano da qui. Non avrò alcun problema a rivelare la nostra relazione al mondo, abbiamo anche iniziato a uscire insieme: io sto tutta coperta e lascio che mi spogli di nascosto parti del corpo, solo dietro certi scaffali, al chiuso, andando per negozi. Se qualcuno ci vede, resta a godersi la scena e poi se ne va ammiccando, senza dire una parola. A me non m’importa di quello che gli altri pensano, ma solo di noi due. E ho una paura folle quando lo lascio uscire, fuori da me come da quella porta. Paura che non ritorni più. Perché, anche se nano, lui ha un potere immenso per le mani. Per questo nel suo ambiente è tanto conosciuto, stimato, ambito. Ne è anche consapevole. E temo che presto si stuferà di me.
Ma nano a chi? Ma nano rispetto a cosa? Ma soprattutto, nano non per colpa mia… quindi mi dovrei sentire in colpa ad essere nano? Poi diciamola tutta, sono il settimo, ho altri 6 fratelli tutti maschi e tutti nani, quindi la questione è genetica. E dire che mia madre e mio padre di statura sarebbero nella media, ma nessuno ha mai indagato da chi possa dipendere il difetto. In ogni caso questi due ingenui ci hanno provato per sette volte ad avere un figlio di statura normale ma niente. Il destino, anche lui nano.
Io e i miei fratelli evitiamo di incontraci e muoverci in gruppo, ognuno di noi preferisce muoversi separatamente e si è fatto degli amici/amiche che alla fine sono circa il doppio dell’altezza. Da nano si guarda il Mondo in prospettiva, anzi si fa un po’ tutto in prospettiva perché il Mondo non è a misura di nano. Niente ti aiuta e sei alla fine considerato un disabile fisico anche se cammini, sei indipendente, hai un’elevata qualità di vita e scopi alla grande, si perché “di arnese” io e i miei fratelli siamo nella norma, anzi, sembra spropositato visto il corpo che lo possiede. Il mio idolo resta Maradona, ha condensato bene bene il “tozzo rozzo basso di successo”, mentre l’inno che mi accompagna potrebbe essere scritto con le parole di “un Giudice” di De Andrè. Da un po’ di tempo giro con una fidanzata modella, bionda naturale e ventiduenne, un metro e ottantasei centimetri, gelosa del suo nano, si perché a certe il mostro eccita.
Difficile smenarla quando è nuda davanti, sotto, sopra di me, all’inizio è stato difficile e non capivo, mi chiedevo: perché io? Ma poi ho compreso e adesso ho tecnica per gestirla per farla godere… non mi dilungo a spiegare. La chiamo “bianca la nordica”, un po’ per le sue origini (le gnocche bionde nascono tutte a nord del Mondo) un po’ per il suo pallore, da non confondersi con calore, quando parte fai fatica a reggerla, urla e strilla chiamandomi cane! Ok, la presenza scenica può essere un po’ perversa soprattutto quando vaghiamo nei megastore, fighi e alla moda fin che vuoi, ma la statura frega la normalità soprattutto quando lei si abbassa per baciarmi in bocca. Forse sono un po’ pesanti gli appellativi con cui ci definiscono, ma alla fine chi se ne frega, tutta invidia un difetto che rende nani in testa.
L’essere nano, o meglio l’essere nato nano non mi ha mai impedito di essere artefice del mio destino e quando da piccolo ho capito cosa volevo fare da grande, ho sentito una certa intima eccitazione che ancora oggi mi accompagna mentre svolgo la professione che ho scelto: sono un ginecologo e le mani proporzionate alla statura sono la mia fortuna.
Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 12
Disegno di Fabio Visintin
Tag: Biancaneve, Cartaresistente, Davide Lorenzon, Dicotomie resistenti, Fabio Visintin, Favole, Francesca Perinelli, Nano, reblog d'antan
16 giugno 2018 alle 08:20 |
Geniale, oltre che bello
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16 giugno 2018 alle 09:12 |
Grazie Gianni
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