Dicotomia n. 30 – Produttività: diurna / notturna

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Il post originale è apparso su Cartaresistente il 27 settembre 2013

 

Perché si lavora? Certo per produrre cose e servizi utili alla società umana, ma anche, e soprattutto, per accrescere i bisogni dell’uomo, cioè per ridurre al minimo le ore in cui è più facile che si presenti a noi questo odiato fantasma del tempo. Eugenio Montale, Auto da fé, 1966

Questo è il giorno. Uno stato di stupore necessario, incoercibile. Sveglia. Sveglia. Sono del tutto sveglia. Il suono della sveglia è vita per la persona giovane, forte e sana, propositiva e positiva, pro- e ri-produttiva. Guardo la gente in faccia e la gente mi restituisce immagini bagnate in oro e platino. Non lo capisco più com’era ieri, non riconosco la maschera di pioggia e buio che mi trascinava buca per buca fino a toccare il fondo, sempre più giù, solo per annientarmi. Cosa ci sia di vero nella notte, come accettare il suo verdetto, quando soltanto a poche ore di distanza il verde è fresco di rugiada al punto che mi ci rotolerei nel mezzo? Aprirmi come in estasi. Un grammo di isteria, novantanove di estroversione pura, e per di più cercata. E sono sempre sveglia, vedi che stringo mani, arrotolo erre e fogli, disvelo elle e voglie, scombino i loro piani sovvertivi, ancora intrappolati tra le ciglia. L’immantinenza, l’aleph, l’ora, il qui, il presente. Questo è il giorno. È l’aria che riesce a passare dentro ogni interstizio. La sensazione, definitiva e ultima, che dietro la mia maschera non ci sia davvero niente da scoprire. Ma tu non mi guardare, tu che non restituisci sguardi d’oro e platino, e appoggi occhi caliginosi sul mio volto. Neri occhi di pece, colla vischiosa, che appiccica e che sporca. Tu, non mi invischiare. Soffri di notte cronica, e io, dentro la vacuità di questa produzione spinta, io voglio sparpagliare i miei fotoni al giorno.

La notte è per me uno stato della mente e non più un logico ciclo universale. Non c’è più differenza tra quello che puoi fare di notte e quello che puoi fare di giorno te lo dice il traffico, i locali sempre aperti, certi lavori o Industrie che non si possono fermare mai, essenziali alle dinamiche sociali. Non c’è più distinzione tra quello che succede di giorno e quello che succede di notte, te lo dice la TV con la sua stordente programmazione h 24 moltiplicata per 1000 canali. La notte sarebbe poi fatta per dormire ma se non ce la fai con il buio, prima o poi ti capita di giorno e diventi un pericolo per te e per gli altri, uno stato psicofisico in cui è il corpo a dirti che sei alla deriva. Quando ero bambino avevo in testa la netta separazione tra quello che potevo fare di notte e quello che potevo fare di giorno per cui erano separati i pensieri, comportamenti, le esperienze, me lo diceva il posto in cui ero nato che c’era un tempo per essere attivi e un tempo per essere dormienti. In questo periodo ho un ricordo di quel tempo, una frase che mia madre mi sussurrava mettendomi a letto, una specie di sonnifero che su di me ha sempre funzionato. Mi diceva: “pensa a cosa farai domani” e mi perdevo tra realtà e fantasia addormentandomi. Ma ora la stessa frase mi angoscia, perché da quando ho perso il lavoro e non riesco a inventarmi una vita, pensare a cosa farò domani mi ha fatto perdere il sonno e non riesco a distinguere la notte dal giorno.

Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 29
Illustrazione di Fabio Visintin

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