Il post originale è apparso su Cartaresistente l’11 ottobre 2013
Si scrive di cicatrici guarite, un parallelo comodo della patologia della pelle, ma non esiste una cosa simile nella vita di un individuo. Vi sono ferite aperte, a volte ridotte alle dimensioni di una punta di spillo, ma sempre ferite.
(Francis Scott Fitzgerald, Tenera è la notte, 1934)
Ho strappato via il cerotto e sotto c’era ancora la ferita, capisci, amica mia? L’ho ritrovato lì, nessuna coagulazione era avvenuta, c’era lo stesso sangue di quel giorno che mi aspettava al varco, lo stesso che ha ripreso a scivolarmi sulla pelle, giù e giù, vibrante nel rosso pieno del ceffone a mano spalancata e il filo di cobalto striato sotto l’occhio, fuori dal rubinetto sempre aperto con lui è uscita l’eco dell’urlo che rincorreva l’eco, capo da coda a capo da coda a capo, un fulmine col tuono generato, via a zig zag sui muri delle stanze, in modo forse uguale o forse peggiore di una volta: ora che le ho vuotate di ogni presenza inutile, gettato via il superfluo, in quelle stanze ora il suo suono rimbomba senza freni, spacca i vetri e sgretola l’intonaco, spegne il silenzio col morso di brace di una sigaretta accesa, sempre la sua, la stessa di quel giorno, e insieme alla ferita, è aperto e brucia il foro provocato sulla guancia dal mozzicone acceso, e i segni della corda attorcigliata ai polsi sono riapparsi bloccandomi le mani e i movimenti, cosicché non ho potuto far altro che assistere impotente al ritorno del golem, la gelida paura risorta dalla terra intrisa dell’umido e scivoloso magma che mi colava dalla vecchia ferita infetta con il suo odor di ferro, era comparsa accanto a me in un attimo, come quella volta – ricordi, te lo dissi il giorno dopo dal letto di ospedale – sole tinto di sangue e arena, sdraiata sugli spalti, pronta per ripetere la visione di me toro infilzato, e di lui, che non era più presente ormai se non nella muleta, il drappo che mi coprì nei giorni, i mesi e gli anni di putrefazione che seguirono – e io che credevo di essere guarita della cancrena, che la ferita fosse rimarginata, me illusa, sono tornata a pensare: Magari. Magari avesse scelto di andarsene prima di perdere il controllo. Magari avesse compiuto un gesto di pietà subito dopo la mattanza, avesse voluto almeno porgermi un cerotto.
Non saprei cosa aggiungere di più di quello che già sai, all’inizio me ne sono andato dall’Italia per non riempirla di botte. Per fortuna non l’ho fatto quando mi diceva che ero un fallito, dopo 10 anni di vita assieme e tanti sacrifici perché non le mancasse niente. In quel momento avrei dovuto farle male, quando mi urlava addosso che avevo una vita sociale perché lei aveva degli amici, che non avevo idee e doveva sempre trascinarmi in vacanza, che non mi sentiva più come prima! Questa merdata del sentire mi faceva incazzare di brutto, per la serie: ma brutta stronza ipocrita, cosa vuol dire “non mi senti” spiegati cazzo! O è solo perché aprire le gambe con un altro ti sfrizzola di più e non sai come dirmelo? E per farlo in tranquillità non sai come buttarmi fuori di casa con discorsi e atteggiamenti che abbiano un senso e una logica? Insomma non ti allungo la storia perché la sai, sei un amico e sei venuto in soccorso subito appena me ne sono andato di casa. Ma è stata una fortuna non averla riempita di botte dopo due anni quando è tornata a cercarmi per chiedermi scusa, perdono e cazzate del genere. Cercava amicizia e aveva moine da schifo per farmi capire che si rendeva conto di aver fatto un casino. Mi veniva il sangue alla testa al solo pensiero di rivederla, per cui me ne sono andato lontano da tutto quel che conoscevo. Mi chiedi se sono pentito? Ma neanche per sogno, pensavo mi avesse rovinato la vita e invece ci voleva. Alla fine mi sono reso conto che era una storia inutile, durata troppo tempo con una donna inutile e costosa, dove io ero in continuo sacrificio: lei è quel genere di stronza che vuole tutto senza concedere niente e non te ne accorgi. Da povero illuso pensavo che dopo questa scema non ci sarebbe stato più nulla ma non è così. Andare via e vivere da un’altra parte credo di poterlo paragonare al metterci un cerotto, ti aiuta a guarire.
Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 31
Illustrazione di Fabio Visintin
Tag: Cartaresistente, Cerotto, Davide Lorenzon, Dicotomie resistenti, Dolore, Fabio Visintin, Ferita, Francesca Perinelli, reblog d'antan
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