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Sliding Europe

12 ottobre 2013

La Repubblica ospita oggi un ottimo articolo di Barbara Spinelli, “L’Europa senza Qualità”, che parte con l’analizzare il senso di un tipico esercizio letterario, quello di realizzare trame alla Sliding Doors.

Di seguito un esempio tratto dalla mia pratica narrativa. Mi scuso con chi lo avesse già letto e ne conosca le pecche, ma presto ne posterò una versione aggiornata. Comunque, che sia riuscito o meno, spero che richiami l’attenzione sul testo della Spinelli e sulla sua, per conto mio condivisibile, difesa degli idealisti, categoria ormai rara.

Una toilette intempestiva

I tempi sono ciò che sono. Tutti contro tutti, allora. Via, si va.

Si era scapicollata fuori casa, portava in faccia i segni della notte insonne, in spalla il frego rosso della cinghia che sorreggeva il peso di fogli e documenti utili e, a completare il quadro, un sasso nello stomaco: la colazione digerita male.

Ancora con l’affanno per il tempo perso a cercare un parcheggio, A. (occhi arrossati, capelli fuori posto e labbra riarse e tremule), per la mancanza d’aria, aveva giusto messo il dito sul foglio con il proprio nome. La segretaria neanche si sforzò di guardarla, segnò la sua presenza e la lasciò con gli altri in una stanza sordida, ospitale quanto può esserlo una morgue.

Era lì per un colloquio di lavoro, avrebbe perso tutto in caso di ritardo per futili motivi.

Il punto era che, forse per troppa fretta, prima di uscire si era scordata di fare pipì.

Le luci fredde acuivano lo stimolo, intanto che a uno a uno i volti della concorrenza sfilavano da dentro a fuori quell’ambientino ameno. Vi entravano e ne uscivano in continuo, rendendo meno lunga la sua attesa. Eppure, invece di farle piacere, lo svuotamento progressivo della fila, consumò in lei ogni residuo di pazienza.

Finì per implorare:

– Dov’è il bagno?!

Ora rischiava veramente grosso. Prendendo il corridoio, lasciò dietro di sé un vuoto che non mancò di essere notato. Sarebbe stato meglio trattenersi, ma ormai la via per la toilette era presa.

Maledizione.

Nell’immobile, tutti gli uffici si dividevano i servizi al piano, e la fila per l’unico bagno delle donne era lunghissima.

A. mugolò. La sua vescica, davvero troppo piena, stava scoppiando.

Decise di infilarsi nella toilette degli uomini, dalla quale proveniva il tramestio tipico di una persona che stesse giusto giusto per uscire.

Schiarendosi la voce, si tirò fuori dalla coda di impiegate innervosite, senza sfuggire a qualche occhiataccia obliqua. Puntò quell’altra porta, che si spalancò di schianto, con lo sciacquone ancora nel pieno di uno scroscio fragoroso. A. si sentì assalita da una fitta dolorosa al basso ventre, un altro istante e si sarebbe ritrovata infradiciata.

Un uomo sulla cinquantina, lo sguardo scuro, i capelli sale e pepe, e le mani ancora prese a rificcarsi malamente l’orlo della camicia dentro i pantaloni, la travolse. Le scappò:

– Hei! Faccia attenzione, – dopo una spinta che la buttò contro il lavello fissato al muro dietro alle sue spalle. Esasperata, aggiunse anche:

– Cretino! – all’uomo che già da qualche passo le dava la schiena.

Le servì un tempo lunghissimo per liberarsi.

Al diavolo tutto.

Ancora a gambe aperte considerò come il suo viso stesse sicuramente tornando di un colore sano.

E vaffanculo.

Così – propriotra il dire e il fare”, le scappò di pensare e di riderne tra sé e sé -, riprese presto coscienza di chi fosse, dei suoi punti di forza, dei suoi meriti, adesso che non c’era più nulla di fisico ad ostacolarla.

Tornò in sala d’attesa completamente trasformata. I tre rimasti si girarono a guardarla con timore.

In quel momento, la segretaria sbucò di nuovo dalla sala colloqui sospingendo con mano leggera un candidato tutto sgualcito e smorto, e pronunciò il suo nome.

A. le si incamminò dietro, gonfiando il petto e tenendo alta la testa con orgoglio.

Varcata la porta, dietro la scrivania libera e lustra per la sua superficie a specchio, dietro le suole di scarpe allacciate al termine di due gambe incrociate e tese sopra il suo bordo, oltre i gomiti a punta di un paio di braccia incrociate sopra al petto, su cui le maniche di una camicia lurida erano state avvoltolate in fretta, trovò ad accoglierla con un ghigno crudele e sadico stampato in viso – Come ho fatto a non pensarci prima? – il cretino brizzolato con cui si era scontrata alla toilette.