in una normalità anomala, accerchiata da un’anormalità diffusa, si stenta a credere di non essere soli sul globo terracqueo, che il nostro tempo sia tutt’altro che immobile e che il nostro presente di pace abbia pelle di cera, muscoli di schiuma da barba e la spina dorsale fatta di cenere. sì, anche se non le consideriamo, altre forme di vita – umana – condividono il nostro ecosistema. sbirciando oltre la curvatura della crosta si può scorgere la normalità di dolore e sangue di – per fare qualche nome – un’Ucraina, un’Etiopia, uno Yemen, un Sael, una Nigeria, un Afghanistan, un Libano, un Sudan, un Haiti, una Colombia, un Myanmar. E non che la nostra igiene intima sia migliore. ogni incomodo su cui non inciampiamo stando bene attenti a non notarlo, è stato abbattuto da una scrollata di spalle, o una scrollata di timeline miope quanto basta, a evitare la preoccupazione per le sventagliate di mitra che accorciano di ora in ora la nostra distanza dalla norma.