Il post originale è apparso su Cartaresistente il 31 maggio 2013
L’illusione è una speranza senza compromessi.
Giovanni Soriano, Finché c’è vita non c’è speranza, 2010
Oggi non è il caso di rivelarne il nome, sarebbe un colpo per tutta la società. Ma ascoltatene la storia. Quel giorno sgranocchiava noccioline, un gomito appoggiato al bancone e la mano sotto la testa. Guardò in giro fino a soffermarsi sul proprio vestitino grunge. Troppo casual. Puntò i sandaletti e si vergognò: non uno smalto qualsiasi sulle unghie. La gente lì era tanto glamour e si farneticava. Ne aveva già vissuti tanti di sogni di cambiamento, tutto trasparente, chiaro, disteso, aperto e discutibile. Ovvio il naufragio per eccesso di utopia. Aveva sviluppato il proprio afflato etico per via delle vicende familiari. Amò sempre suo padre. Anche quando rivelò il trucco del compromesso. Se non avesse atteso quarant’anni a dichiararsi gay, non sarebbero venuti al mondo né lei né i suoi fratelli.
Erano altri tempi. Sacrificò la propria natura per anni ma poi scelse di andare a vivere felice col compagno. Sua madre se ne fece una ragione. Esempi come quello avevano cambiato il volto del paese dal quale lei partì un giorno per vivere in Italia. Pazienza e strategia, proporsi e ascoltare. Limiti elastici. Questa la lezione che non intendeva sprecare. Quando due tizi salirono sopra un tavolo, buttando giù stoviglie e stuzzichini, e urlarono: “Facciamo fuori i vecchi!” (scatenando applausi entusiasti) le apparve la sua faccia adulta e stanca riflessa nel bicchiere. Sapeva cosa fare. Uscita dal locale prenotò a un medico estetico interventi per rendere il suo aspetto più integrato. Dopo poco entrò di gran carriera nel Nuovo Sistema e prese a modificarlo dall’interno, andando lei per prima nella sua direzione. Voi non lo immaginate, ma è a lei che dobbiamo la prima presidentessa donna, il matrimonio gay, l’introduzione del salario minimo, e la serie di grandi innovazioni nella Costituzione, intervenute dal 2013 ad oggi.
Non era mai stato giovane per questo il suo rigore era pari al suo aspetto: tutto d’un pezzo e sempre con baffi neri! Sin da piccolo era stato un gran lavoratore e da adulto ancora per poter lavorare, costretto ad essere un “Leone di Mussolini”. Senza mai picchiare nessuno, con l’aspetto rigoroso dentro alla camicia nera, invece di impartire ordini lavorava credendo di far bene. Dopo la guerra chiusa indenne da partigiano che lavorava per il Partito, partì con sua moglie verso la nera Germania, si dice per ricostruirla. Lavorò duramente mandando marchi a casa per sfamare i figli, non più figli della Lupa, dei Compagni in rosso, ma tutti “cristian democratici” mantenuti da un gran lavoratore che aiutava i crucchi sfatti. Da li senza tornare a veder la nazione, parti per la Russia a coltivare campi di patate, sua moglie imparò anche il russo ma lui tutto d’un pezzo ne tedesco ne zarista, restò fermo sulle parole: lavorare con dignità! Da tornato italiano fece un mondo di mestieri, sempre bene, sempre con fatica, sempre per vivere: il pescivendolo; il venditore di bambole con la testa di porcellana; barattava filo da cucire con uova per cucinare; raccattava stoffe usate per far carta; cacciava le talpe per far pellicce da donna; al Porto trovava Ghisa, Ferro, Rame e Acciaio per rivenderlo; smerciava Caffè. Da vecchio con i capelli bianchi si tingeva solo i baffi d’un nero innaturale, tagliati non più grandi ne più piccoli per essere riconosciuto com’era un tempo. Visse tanto e a lungo raccontando che se non fosse stato un uomo coraggioso e rigoroso non sarebbe sopravvissuto. Quando arrivò il “rigor mortis” aveva già lasciato indicazioni perché le figlie scrivessero sulla sua tomba: Voglio essere ricordato precisamente per quel che ho fatto! Amen.
Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 15
Disegno di Fabio Visintin
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