Il post originale è apparso su Cartaresistente il 12 luglio 2013
“I moti della natura vogliono essere circolari; rettilinei quelli dell’arte. Il naturale è rotondo, l’artificiale tutto angoli.”
O. Henry “La quadratura del cerchio” in “Memorie di un cane giallo e altri racconti”, Adelphi editore (1980)
La scena è stata questa: l’avevano notata, e osservata entrare in quel portone per un paio di mattine. Loro, marito e moglie, la terza volta l’hanno fermata sulla soglia. Io c’ero, in piedi come sempre, ferma dall’altra parte della strada. Li ho visti contrattare. Lei, sorpresa, ha alzato le sue grosse sopracciglia. Labbra sottili si sono ritirate rapide su una cascata di denti da spavento. Sembra un cavallo. E poi, ha gli occhi che divergono (di Venere, in effetti, ha solo lo strabismo), il naso adunco e orecchie piccole e torte. Sembra la morte. Mentre scuotevano le mani chiuse le une sulle altre, le è sfuggito il fermaglio dalla testa. Che chioma! Mai visto tanto pelo incolto. E l’emozione ha liberato, giuro, un così forte afrore che una zaffata ha raggiunto anche il mio marciapiede. Ho premuto al volto il fazzoletto impregnato di profumo, ma l’odore naturale è persistente e, evidentemente, dà alla testa. Perché (ora c’è il meglio) allontanandosi in fretta, lui le ha incollato una mano al grosso culo, e la moglie, che li sbirciava ridacchiando, con noncuranza ha pronunciato un numero. Che cifra! Io, che della bellezza naturale ho fatto un vanto, ho cominciato a chiedermi a cosa valga avere un viso regolare, forme perfette, buongusto nel vestire. Da quel momento, ormai non so più dirlo. Sto meditando l’introduzione chirurgica di imperfezioni artificiali.
Il retroscena è questo: viviamo in un’epoca in cui il corpo umano è un interesse economico e per questo viene ridimensionato o ampliato, in parte sostituito, vestito e svestito, tatuato e bucato, massacrato, clonato, venduto al miglior offerente… e non mi dilungo. Così facendo non abbiamo più corpi da guardare, da desiderare, ma corpi da inventare e nell’invenzione si sa: ognuno ci mette del proprio! Una volta nascevano naturalmente i Freaks che raggruppati facevano Circo mostruoso, difforme e per vederlo pagavi il biglietto. Oggi invece la diversità la devi creare in laboratorio, un progetto per distinguersi proprio partendo dal corpo a cui si aggiunge l’adeguata comunicazione. Un artificio tendente al bionico perché da umani abbiamo preso coscienza che non avremo a disposizione altri tremila anni di lenta evoluzione per modificarci naturalmente. Per cui, chi più ne ha più ne metta nell’inventarsi un corpo disuguale che crea notizia. Abbiamo perso il senso del naturale fatto donna o uomo, non sopportiamo su di noi il “naturel et juste” ma dobbiamo: intervenire; approfondire; capire e cambiare. Chiaro, se oggi incontri qualcuno nato già Freak c’è la curiosità di scoprirlo anche segretamente, l’istinto che non è artificio ti riporta sempre all’animale che sei anche se non vuoi.
Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 21
Illustrazione di Fabio Visintin
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