Dicotomia n. 34 – Arte: Realista / Surreale

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Il post originale è apparso su Cartaresistente il 15 novembre 2013

 

Se c’è sulla terra e fra tutti i nulla qualcosa da adorare, se esiste qualcosa di santo, di puro, di sublime, qualcosa che assecondi questo smisurato desiderio dell’infinito e del vago che chiamano anima, questa è l’arte. Gustave Flaubert, Memorie di un pazzo, 1838

David, quando t’ho manipolato nell’argilla, ne sei uscito così come t’ho immaginato. E mentre tu stavi sul piedistallo a disseccare, è corsa voce che fossi differente. Ho fatto in fretta a darti un nuovo volto, nuovi arti e busto, nuove, nuovissime anzi, proporzioni. Ma un’onda dell’Arno ha spazzato via di nuovo il mio lavoro. Allora io t’ho scolpito nel marmo di Carrara, tanto alto da far ombra a ogni altra effige umana, con una testa tale che Leonardo davanti a te scompare, e mani talmente vere da temere che tu ti pieghi a distribuire schiaffoni. Nessuno ha osato contraddire la tua voce che, dal mio petto, sorgeva a chiedere di collocarsi spalle a Palazzo Vecchio. Quando gli esperti messi a deciderti il posto alzarono il loro sguardo sopra il tuo, così accigliato, ti diedero ragione all’istante. E cosa dire del grido del Vasari: dopo di te nessuna statua mai! E mai è stata raggiunta vetta più alta, mi è stato detto in seguito, mai voce più forte si alzò a difesa della libertà, della democrazia contro le prepotenze dei tiranni. Infatti, è per questo motivo che, a poco a poco, rientrati in sé appena dopo lo stupore, i fiorentini proposero di mettere al tuo posto una copia. Tu che sei l’apologo ultimissimo del vero, ora sei circondato dall’atmosfera rarefatta di un museo, mentre quell’altro, l’impostore, l’impasto di marmo percolato dentro un calco, niente a che fare con la tua origine dallo scavo faticoso nella roccia, mostra ai passanti ignari la sua falsa versione della realtà.

Francesca da Rimini, è tra i lussuriosi dell’inferno che ti trovo, condotto a te dall’astratto mio viaggio nel mondo dell’ultraterreno in cui mai pensai di incamminarmi un giorno, nemmen per angoscia e disfacimento dell’anima mia. Amante e tentazione dal corpo in cui io poeta, non senza grande sacrificio con i dannati intorno, ho mista pietà al desiderio da far perdere i sensi.
Si io poeta dell’amore, visionario dell’irrealtà a cui tu confessi non senza sconforto le tue pene in vita e io nell’attrazione di te innocente, freno l’impeto per esser sol narratore dei posteri e non peccatore degno dell’Inferno in cui sono. Stesso sentimento che aprirsi deve adesso la strada per ascoltare te e la tua condanna, e questa mi appare come possibile causa della mia stessa eterna condanna, fuori dal reale dell’essere qui. Io che a te chiedo spiegazioni, Francesca, spiegazioni su come tu sia diventata peccato nell’adulterio. Perché io nell’astratto del sentire amoroso non vedo in te ne colpa ne trasgressione, ed è forse la moralità, propria e contraddittoria a crear religioso e travolgente giudicare. Hai Francesca forma così alta e rarefatta che avvolge il tuo Paolo e non è vero immaginarvi peccatori, ma tragiche figure della passione dentro forze invincibili. Ora per voi qui tra i dannati provo senso di umana pietà e capisco il dono della cattiva sorte, ma se potessi io portarvi in un altro tempo futuro certo sareste salvi ed eletti a opera d’arte.

Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 32 Illustrazione di Fabio Visintin

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