Il post originale è apparso su Cartaresistente il 27 dicembre 2013
Sii sempre in guerra con i tuoi vizi, in pace con i tuoi vicini, e lascia che ogni nuovo anno ti trovi un uomo migliore. Benjamin Franklin, Almanacco del Povero Riccardo, 1732/58
Era dai tempi dei film in bianco e nero che non si vedeva tanto ciarpame giù in strada, a Capodanno. E le mie mani, erano quelle, a spingerlo verso il basso. Tanto per festeggiare, avevo accampato come scusa. E poi me n’ero andata, sbattendomi la porta dietro, via a battere i denti, fuori, all’aperto. E avevo camminato, era una via lunghissima e ignota, percorsa fino allo sfinimento. Finché ho chiuso gli occhi d’istinto davanti al sole nascente, a quella luce obliqua e nuda come me, seduta sui talloni in cima a un precipizio. Presa a guardare in alto per non cadere giù. Ma ho riaperto le palpebre ed ero ancora viva. Sotto, un tappeto di colori che si è disteso al vento dell’aurora, mi ha presa e trasportata in volo. Per la mia prima volta in cinemascope, trovarmi libera dai pesi mi ha aiutata. Carica di tutta l’empatia concessa da questa mia nuova condizione, sono venuta a cercarvi. Vi ho ritrovati tutti. Pochi quelli che avevano ripreso a girare solitari. I più di voi erano aggrovigliati a gruppi, molti dormivano, altri credevano di essere rimasti svegli dall’anno precedente. Ma nulla è uguale, nulla ritorna ad essere se stesso all’infinito. La pelle era intirizzita da un’aria che non sapevo riconoscere, in questa carrellata a campo molto lungo che ha abbracciato il mondo e l’ha lustrato, finché non è riapparso come nuovo. E hanno preso a crescere vertiginosamente unghie, capelli e denti. Hanno formato un nido impenetrabile da fuori, da dentro morbido e caldo. Tanto che mi ci sono accoccolata e sono caduta finalmente in un sonno immemore, cullata dalla certezza che l’oro attorno avrebbe continuato ad aumentare. Sognando gli orizzonti davanti a cui ricominciare.
Meglio il primo giorno del nuovo anno o l’ultimo giorno del vecchio? Al giorno 1 ritorniamo muti dopo la baldoria perché ancora una volta: non ci sarebbe nessun ultimo giorno da festeggiare. La vita non ricomincia in un momento “X” e avrebbe senso far baldoria per quello che sei stato, ma di solito a Capodanno si festeggia quello che non vuoi più essere.
Ma siamo degli inguaribili innamorati della festa che ha mille sinonimi e pochissimi contrari, organizzandoci in anticipo: con tanti e tutti amici (forse); pagando per un’atmosfera d’elite (ma quando mai mi ricapita); in Piazza al concertone (se ti piace, no comment!); all’estero che fa figo. Ovviamente con mutanda rossa e pazza che porta bene.
Mah, Capodanno, che quando pensi giustifica “un altro anno andato” pensi sempre che qualcosa di preordinato, qualcosa di grottesco e malignante… qualcosa ti ha rubato! Poi è fuggito e tu ora ritrovalo se ci riesci?!
Capodanno segna anche la fine dell’anno solare, un’occasione per dipingersi la faccia come al tempo in cui si credeva che la Terra fosse piatta e oggi come allora ha senso ballare riti ancestrali solo se credi che il vecchio se ne sia andato e il nuovo sarà migliore. Lo aspetti questo giorno perché sempre più spesso non hai più voglia di riannodare gli anni che passano e vorresti l’interruzione o il cambiamento immediato, dimenticando che la vita dovrebbe seguire una via lineare senza restringersi a percorso di montagna, ma aprirsi verso confini tutti da scoprire. Così fino alla fine.
Quindi quando qualcuno mi chiede: ma tu a Capodanno cosa Fai? Dove sei? Con chi stai? Non so mai cosa dire perché il cervello mi si spegne, ma rispondo comunque: sto da solo, perché non ho nodi da fare ne nodi da sciogliere! Ma nessuno mi capisce e come sempre vengo trascinato da qualche parte ad annoiarmi a morte.
Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 39
Illustrazione di Fabio Visintin
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