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Il limerick definitivo
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Con questi versetti si chiuderà l’anno.
Se danzo mi acquieto. Se rimo mi danno:
Resterò sul blogghe
Mimando milonghe.
La festa è finita, gli amici sen vanno.
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– Molto fine.
– Vero?
– Molto Califano, sì.
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Quella che mi abita è un’anima, di fondo, insostenibilmente leggera. Spesso sto a bocca chiusa perché temo che mi scappi fuori per inseguir farfalle.
Dovrei chiudere anche gli occhi.
Invece, con la fissazione di non pestare merde, che a Roma sui marciapiedi abbondano, li tengo sempre aperti. E l’anima vola su, su, su. Raggiunge vette che Mike Bongiorno (almeno allora) se le sognava.
Poi torna indietro, da brava cucciolona, e mi riporta le sue novità, rimediandoci una pacca sul garrese.
L’ultima volta è finita nella parte più alta dell’atmosfera e si è scontrata nientemeno che con Braccio di Ferro. No, non proprio lui, ma con un palloncino che gli somigliava. E che cominciava a perdere elio da un buchino, si capiva perché da lì proveniva il tipico fischiettio, quel “tu-tuuu” della canzone che fa:
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I’m Popeye the Sailor Man.
I’m Popeye the Sailor Man.
I’m strong to the finich,
Cause I eats me spinach.
I’m Popeye the Sailor Man.
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– Ma è un limerick!
– Eh, gia. Lo aveva capito anche lei.
– Chi?
– L’anima, chi altri?
– E poi, cos’è successo?
È successo che, tutta attorniata dall’elio, si è divertita per un bel po’ a dire cretinate con la voce più acuta di qualche ottava, e poi… Si è messa a ballare.
E adesso che è rientrata in me, ancora non si ferma.
– Beh, auguri eh.
– Altrettanti a te, demonuccio. Tu-tuuu.
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