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Dicotomia n. 29 – Cioccolata: Fondente / Al latte

17 agosto 2018

Il post originale è apparso su Cartaresistente il 20 settembre 2013

 

Il mondo si divide in: quelli che mangiano il cioccolato senza il pane; quelli che non riescono a mangiare il cioccolato se non mangiano anche il pane; quelli che non hanno il cioccolato; quelli che non hanno il pane.
Stefano Benni, Margherita dolcevita, 2005

Il cioccolato non è “la cioccolata”, lo sai ma non lo ammetti. Dici che l’Accademia della Crusca non ha saputo scegliere, perciò continui con i tuoi sbrodolamenti, peschi nel variegato mondo al latte che, è innegabile, è un prodotto femminile. Accomodati. Per quanto mi riguarda, quello fondente è irrimediabilmente maschio. “Maschio genera maschio”, dicono? Lui infatti viene dai semi del cacao. Magro e ben tosto, ha i palmi delle mani asciutte e si sfarina in bocca aspettando di essere bagnato. È presto fatto, mi scalda fino al punto di fusione, finché scivola in gola il gusto del peccato. Basta una frusta, e sono unita a lui, montata a neve ferma in forma di soufflé. Velluto nero, amaro, roba da intenditori, da veri amanti, da esperti di lascivia, di riti ancestrali e oscuri. Come le notti, sempre di luna nuova, in cui mi concedo a lui. Ora sai anche questo: io, come te col latte, del nero non ne so fare a meno. Ma non ho il tuo gusto dell’etnico per l’etnico, caro compagno mio, che porti a casa ogni randagio umano ritrovi per la strada. Compresa me, che dagli esordi hai scelto di piegare al neocolonialismo del tuo impero. So che ti spiace un po’ che io ti tenga il muso, però comprenderai quanto ci resti male: con te ho sfornato figli su figli su figli, e neanche uno di loro è scuro al punto giusto.

La cioccolata va di moda, o meglio, va di moda il suo colore, sapore, incarto, grafica e comunicazione. La cioccolata è assuefazione, “sbrodolamento” mentale e di gusto, fino a preferirla al panino, bistecca, piatto di pasta al sugo. E non entro nel vasetto della “Nutella” altrimenti mi perdo nei sensi. C’è molta distinzione tra una qualità e l’altra e pur conoscendone parecchie preferisco quella al latte, mi fa pensare alla mamma e a quando ero piccolo piccolo e povero. Sulla cioccolata ho fondato un impero, una catena di negozi monomarca che rendono più di una oreficeria, perché ho imparato a vendere pezzetti di felicità incartata in modo prezioso. Nel tempo ho assunto una dozzina di chef e dico chef perché “pasticceri” è riduttivo e squalificante. Hanno il compito di trovare prodotti in varie regioni d’Italia e ricavarne dei derivati tipici da integrare nel cioccolato e la cosa funziona: sono nati molti gusti ora copiati dalla grande Industria alimentare, ovviamente senza la stessa qualità e preziosità. Però la grande idea marketing mi è venuta con il cambiamento del personale da banco. Vado spesso nei luoghi in cui sbarcano i clandestini, luridi disperati senza arte ne parte con il terrore negli occhi e tra questi scelgo i più neri. Tratto poi con le Autorità che non vedono l’ora di disfarsene, promettendo vitto e alloggio in cambio della loro assunzione. Dopo un breve ma intenso periodo di formazione ad hoc, basato sulle precise dinamiche dei miei negozi, hanno il diritto di indossare la divisa bianco-oro con capellino e preferisco mischino la loro incomprensibile lingua con l’italiano, rende etnico il tutto. Una di loro che io chiamo la “musona”, è diventata la mia compagna e ammetto che amo più i figli che mi ha dato che lei, mi ricordano il cioccolato al latte.

Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 29
Illustrazione di Fabio Visintin