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Tre

4 settembre 2012

E poi per oggi basta.

Uno dei libri che più mi è piaciuto leggere negli ultimi 12 mesi è senza dubbio Questo è il paese che non amo*. Ancora mi ricordo un giorno in cui la metropolitana era fuori uso e io, tutta contenta, avevo preso un autobus per ritornare a casa insieme alle sue pagine. Mezz’ora in più a disposizione, portata nelle vie di tanti quartieri, per un ritorno anche a tempi lontani. Alle ambientazioni e alle cronache che hanno segnato il lento declino in me e in tutto il Paese della già labile fiducia nelle magnifiche sorti e progressive (ma con il contemporaneo orgoglio per l’insorgere di una consapevolezza grazie alla quale poi sono stata capace di grandi cose).

Lui, Pascale, è un autore controverso, c’è a chi piace e a chi no. Io lo trovo così  fedele a sé stesso, così… “democratico” poi, nel lanciarsi senza timore in operazioni che lo espongono a critiche e a giudizi. Per ciò che riguarda me, un anno fa non lo conoscevo neanche e adesso non smetto di sentire gli echi di certe sue riflessioni. Come quando fa l’esempio di un film di Gillo Pontecorvo, Kapò, che ricordo di aver subìto come un pugno nello stomaco quando avevo circa vent’anni, mentre da una poltrona comoda guardavo la programmazione notturna di Rai3. Emblema, una certa carrellata di quel film, secondo un saggio di Serge Daney ripreso da Pascale, del cattivo uso che si fa del linguaggio, o meglio dello stile (nel cinema come nella letteratura, allarga il discorso Pascale) che rischia, arrogandosi il diritto di descrivere, attraverso inquadrature di comodo, ciò che non si può conoscere per esperienza, di perpetrare i crimini che si vogliono mettere all’indice. E quel che è peggio, grazie alla modalità, al linguaggio, allo stile utilizzati, conformi a ciò che vanno esecrando, di offrirne al pubblico una mistificazione revisionista.

Una volta mi piaceva il Cinema. Ora non ho più modo, compagnia, piacere di entrare nelle sale. Mi prende un magone così. Potrei ma non lo faccio. Roma ospita il Nuovo Sacher e ancora altri cinemini intelligenti, e poi ho il Mignon qua dietro, se volessi. Ma sono come spenta, o forse la mia è paura, come lo è stata a  lungo quella rivolta alle buone letture. Paura di guardarmi dentro, eppure è venuto il tempo di sbloccarsi.

Lo dico spesso a Lola e anche alle altre: Un pomeriggio prendiamo due ore e andiamo a vedere questo o quell’altro film che non danno da nessun’altra parte. Mai fatto. Con l’eccezione di quella volta, nel 2005, che venendo comunque incontro ai loro gusti, siamo andate a vedere il remake di Alfie. Grazie a Dio, sempre che abbia ispirato lui il regista Charles Shyer, almeno è stato un tripudio di scene di Jude Law. Patatine, battutine, due risatine. Ah ah.

Il Cinema, la sua funzione nella società, io lo rispetto. E se anche non mi cibo più tanto spesso delle sue immagini, conservo ancora il gusto di leggere di lui. Di Wenders, ad esempio, nel quale ho piena fiducia (ha perfino realizzato un film su Pina Bausch, per la miseria, Pina Bausch. Chi ha praticato la danza può provare il mio stesso brivido al solo pronunciarne il nome).

Vignetta tratta da
Elfo: Tutta colpa del '68. Cronache degli anni ribelli Ed. Garzanti, 2008

Ho questo libro** di Wenders al quale mi rivolgo spesso. Contiene scritti dal 1968 al 1988. L’unica recensione di un film che al regista stesso non è piaciuto (parole sue): Hitler – Una carriera, di Joachim Fest e Christian Herrendoerfer, del 1976 (va da sé che non l’ho mai visto e, a questo punto, mai lo guarderò). Ebbene, in tale recensione (dell’agosto 1977) è espresso lo stesso orrore provato per la carrellata di Kapò. E che si può riassumere nella frase:

“L’imbarazzo, la paura e la vergogna di cui s’è parlato non sono più a livello di contenuto, si sono fatti forma del discorso; la rimozione del tema è elevata a metodo, e si è messa a braccetto dell’arroganza”

Riconoscere che la “questione dello stile” fu posta già trentacinque anni fa da qualcuno che è stato in grado di risolverla e di veicolare i migliori messaggi rivolti all’umanità attraverso il più potente mezzo di espressione esistente prima dell’avvento di internet, il Cinema, non mi consola. Perché nulla è cambiato, anzi. Per me è ora che della qualità del linguaggio attraverso il quale offrire il proprio sguardo sul mondo, del proprio stile quindi, inizino a preoccuparsi quelli che, in un modo o nell’altro, formano il magma massmediologico più potente di sempre, la nostra cara rete.

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*) Antonio Pascale – Questo è il paese che non amo. Trent’anni nell’Italia senza stile, Minimum Fax 2010

**) Wim Wenders – Stanotte vorrei parlare con l’angelo. Scritti 1968-1988, Ubulibri 1989

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Ellekappa su La Repubblica del 4/09/2012


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