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Nella distanza e nella differenza

1 settembre 2012
(A Nastia, mia piccola musa)
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31 ottobre 1953

Caro Sig. Groucho,

mi sono accorta subito che, per qualche inspiegabile disguido postale, la lettera che mi era stata recapitata non era affatto destinata a me, e immediatamente mi sono decisa a restituirgliela senza porre tempo in mezzo. Purtroppo si è messo di traverso il destino, che ha voluto che vi venisse rovesciato sopra il the del samovar posato sullo scrittoio.

E così, nell’aprirla e nel tentare di ridurre al minimo i danni, mi perdoni ma proprio non ho resistito alla tentazione di sbirciare tra le righe. In realtà, se non vi avessi trovato alcunché di notevole, o al contrario, leggendovi una corrispondenza sconveniente, avrei evitato di aggiungere questa nota. Però, lo devo ammettere, ciò che lei ha scritto a proposito dei cinque anni (cinque anni!) trascorsi nel tentare di ricavare frutti da quella solitudine maschile, mi ha dato dapprima una stretta al cuore. E, subito dopo, leggendo che era riuscito finalmente nell’abbinamento con il sesso femminile, ma che sperava di ottenere qualcosa solo vagandosene fremente tra i cespugli nelle le notti di luna piena, mi sono detta che forse avrei potuto fornirle qualche buon consiglio. Me lo consenta, sono una donna che, grosso modo da altrettanto tempo, sta ritornando “padrona del suo io”, come ho sentito dire di recente altrove. Lei sa qual è il segreto perché una unione dia i suoi frutti? Scusi la presunzione, ma credo di poterglielo illustrare. Non è, o non è soltanto, che i due consumino bracieri di passione, che dopo una fiammata, via: non resta altro che cenere. No, il modo è un altro. Ed è proprio quel guardare lontano entrambi mentre si sta vicini, tutt’altro che un’attività sterile. Mentre piccoli refoli di esperienza si muovono tra le chiome, intanto le radici più profonde si allacciano tra loro, fortificando entrambi e creando una fertilissima, benché illusoria -come lo è per ogni cosa al mondo- impressione di un’eternità possibile. Dia retta alle parole di una donna che nella distanza e nella differenza ritrova ogni mattina, dentro a un semplice “buongiorno”, un nuovo impulso per innalzare l’anima a un nuovo stadio di consapevolezza. E allora il mio consiglio è: lasci la vita scorrere.

Nella speranza di non averla annoiata, le auguro al più presto la felice scoperta di tutta la differenza creatasi a sua insaputa e le porgo i miei rispettosi saluti,

Valentina Brodsky

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Allegato*:

26 ottobre 1953

 

Caro Hy,

vorrei poter scrivere le sette-ottocento parole che mi hai chiesto, ma ne conosco solo seicento. E poi ci sono altre ragioni.

Primo, ultimamente ho subìto diverse frustrazioni dal mio albero di avocado. L’avevo piantato nella fervida speranza che un giorno sarebbe stato carico di frutti; ebbene, cinque anni sono passati, e in tutto questo tempo non un solo avocado è mai spuntato dai suoi rami. Affranto, sono andato in un vivaio e ho spiegato la situazione al proprietario. Quando ho finito di vuotare il sacco, quello mi guarda anche più sprezzante del solito e fa:  “Non lo sa, signor Marx, che gli avocado si accoppiano, e che se vuole avere frutti deve tenere una femmina e un maschio?”. Bé, Hy, mi sono sentito girare la zucca che quasi svenivo. Sapevo che i divi del cinema debbono affrontare una trafila del genere per fare frutti, ma non avevo idea che l’avocado maschio volesse l’avocado femmina proprio come Lana vuole Lex, Frank vuole Ava e Gianni vuole Pinotto. Ripensandoci, cancella dalla lista Gianni e Pinotto. La natura funziona in modo un po’ diverso.

Bé, per farti breve questa saga minima, ho comperato il secondo albero e adesso ho entrambi i sessi in giardino. I due sono insieme solo da poco tempo e credo sia presto per dirlo, ma finora non ho notato nessuna differenza. Quello che mi sconcerta è che non si guardano mai in faccia. Se ne stanno là con gli occhi fissi davanti a sé, in austero riserbo, senza mai muovere una foglia, senza mai neppure far scricchiolare un rametto. Chissà. Forse la mia presenza li imbarazza. Una di queste notti, quando la luna è piena e il tuo corrispondente pure, voglio sgattaiolare là fuori, infilarmi nei cespugli e rimanere acquattato finché non appurerò con certezza se avrò o non avrò dei piccoli avocado.

Saluti,

Groucho

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§§§

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(Vava, una cappellaia di Londra, divenne sposa in seconde nozze di Marc nel 1951. “Secondo un articolo del “Time Magazine”, pubblicato nel 1965, lei “portò ordine nella sua vita”, anche se spesso Chagall minacciava di chiedere il divorzio se lei avesse tentato di portare ordine anche nel suo studio. Vava diceva “Divorzia da me più volte in una giornata”.” **)

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Autoritratto

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Mi tolgo il cappello davanti a te, Vava,
e il mio cuore,
che aveva smesso di battere dopo la morte di Bella.
Solo prometti di non pulire lo studio
Dove il disordine nutre la vita dell’artista
Meglio del pane e del vino.
Qui -circondato da tele, da libri,
da gocce di pittura secca come piccoli gioielli,
dal samovar che bolle sempre,
da bozzetti fissati al muro
che sventolano ogni volta
che apri la porta del mio cuore-
qui c’è il laboratorio della mia anima.
Tocca il disordine e divorzierò,
divorzierò da te,
divorzierò da te,
da te che mi hai riportato in questa vita,
lo giuro.

Marc Chagall, Autoritratto (con Vava in piedi sulla porta dello studio), 1965

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*) Lettera a Hy Gardner, tratta da Le lettere di Groucho Marx, traduzione di Davide Tortorella, Ed Adelphi, 1998

**) J. Patrick lewis e Jane Yolen, Chagall. Autoritratto con sette dita – Ed. Gallucci, 2011


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