Città raccontate: Roma n. 6 – Fontane (su Cartaresistente)

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Le osservo in questi giorni di canicola. Spogliate oltre necessità, girano torno torno sulla graticola urbana carni ustionate a chiazze. Loro dissimulano. Sventolano, alte e tirate, code, gonnelle, fogli e riviste patinate. Dilatano pori, narici, estremità, andature. Intumidano labbra, scorrono nella peluria trasparente fili, riganoli -furtive lacrime a volte, pure. Sgocciolano, e dove sostano per poco, formano pozze che il grande conquistatore aspira, risucchia forte e asciuga. Tecnica millennaria: lui le ubriaca, gonfia di morsi e scortica. Lavora alla sfioritura di quei corpi, li segna, li strapazza. Li atterra al tramonto, quando sparpagliano attorno petali stanchi di rose scompattate.

Non era il giorno giusto. Il successivo sono di nuovo in strada. Sfioccano ancora, molli, sopra l’asfalto molle, confuse nel miraggio che risale evaporando. Spighe di grano a un vento inesistente. Pesci all’asciutto, ondulano boccheggiando.

Forse non sanno -qualcuna forse sì- chi fu la prima, l’unica, vera e sola (ancora ama ripeterlo ai giornali) che dava forma all’acqua appena entrava. Venere irrispettosa, diva di un lungo sogno, giusto allora. Oggi scarseggiano gli uomini all’altezza. Se uno appare, sgorga uno sciacquettio di cosce rosa shocking, scomposte nella fontana più vicina. Pigolano e danno di gomito l’una con l’altra, per far mattina con con Marcelli farlocchi. Attratte a frotte dalla Dolce Vita, le false Anita a me sembrano troppe, zampilli freschi e pure tante zampe di gallina.

A Roma l’acqua non manca di certo. Due fiumi (Tevere e Aniene), laghi vulcanici attorno, acquedotti e canalizzazioni che sfociano in vasche, ninfei e fontane. Queste, più di duemila, di ogni epoca e forma, offrono acqua potabile e sempre buona. Che stuzzica gli assetati di guadagni, ma che, per ora, sembra resistere e poter rimanere alla portata di chiunque.
Attorno alle fontane si danno appuntamenti. Dopo una serata tra certe ragazze, conquistate dalla leggiadria della fontana quadrangolare di piazza Mattei, rione Sant’angelo (un progetto di Giacomo della Porta, realizzato nel 1581 da Taddeo Landini, sembra in una sola notte, per conquistare una bella fanciulla), una di loro si é cimentata in qualche verso sciolto, paragonando le convenute alle tartarughe sporte verso quattro efebi in bronzo:

La fontana delle tartarughe

Le tartarughe a trovarsi dopo anni
con voce uguale di ragazze
stessa nota stonata e do perfetto
di silenzio composto in faccia alle tragedie
e giusta ira per la Storia sbagliata
protette da una corazza sfrontata
e una testa lieve e pensante
che entra e esce dal guscio
pesante del Tempo che passa.

per questo saranno longeve
e piccole e grandi come le stelle.

(Marzia Spinelli)

Di tartarughe tropicali e vive, invece, abbandonate massicciamente nelle fontane di Roma, si è occupata un’altra componente di quella stessa comitiva, in un piacevole epigramma:

Sono tante e tante le tartarughe
dentro la fresca fonte nel cortile
dell’ospedale all’isola
Fatebenefratelli.

(Antonietta Tiberia)

Marzia Spinelli è nata a Roma nel 1957 dove vive e lavora. È stata tra i fondatori e nella redazione della rivista Línfera. Attualmente nella redazione della rivista Fiori del male. Ha collaborato con articoli e testi in prosa ad altre riviste di arte e letteratura e suoi testi poetici sono presenti in varie antologie. Ha pubblicato le sillogi poetiche Fare e disfare (LietoColle,ed., 2009) e Nelle tue stanze (Progetto Cultura ed., Collana Le Gemme, 2012).

Antonietta Tiberia, ciociara di origine e romana d’adozione, vive tra Roma e Ceccano. Si destreggia tra narrativa, poesia traduzioni. Ha pubblicato due libri, Calpestando le aiuole e I racconti del ponte.

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Testi di Francesca Perinelli
Fotografia di Luigi Scuderi

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