Il post originale è apparso su Cartaresistente il 13 dicembre 2013
Tutti i coniugi del mondo sono male sposati, perché ognuno custodisce dentro di sé, nei segreti dove l’anima è del Diavolo, l’immagine sottile dell’uomo desiderato che non è quello del marito, la figura volubile della donna sublime che la moglie non ha realizzato.
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, 1982 (postumo)
Hatta, ma che sei matto? Non puoi cambiare sguardo così all’improvviso. Stavi cantando in coro con gli amici, il trucco di Halloween ti si scioglieva sotto le luci forti, tutto innocenza e impaccio mi sembravi, in apparenza. Io lo avevo capito di esserti d’interesse, ma fino a questo punto, no, non lo pensavo proprio. Oh. Pare che tu mi voglia frantumare, con quei tuoi occhi troppo sinceri, adesso. Ora so riconoscere tutta la tua maestria di poco fa, quando sfidavi l’ilarità comune. Ridevano del pessimo karaoke, e tu reggevi al meglio la tua parte. Era per prendermi all’amo, lo devi ammettere. Ma mica parli, Hatta, in questo angolo buio appena fuori del locale. E spingi forte la mano anche sulla mia bocca. Cerchi il silenzio. Preferisci il fruscio dei nostri vestiti, le gocce di sudore e d’altro che cadono per terra, lo sbriciolio del muro schiantato dal nostro nervosismo. Se è questo ciò che vuoi (come nasconderlo?) è ciò che voglio anche io. Sbrigati, Hatta, sbrigati. Ma quanta fame ti resta ancora da saziare? Non senti che la musica si abbassa? Il coro degli amici perde quota, tu togli la tua mano, io faccio per girarmi, riabbottonarmi, per rassettare tutto come se niente fosse. Faccio per dire: “…” ed ecco che la base riprende alla sprovvista. Il muro che ritorna a sbriciolarsi, e le tue mani forti a sconvolgere i capelli sulla mia testa. Vuoi proprio eliminarle le parole, eh, Hatta? Dai non fermarti, forza. So che sei abituato a prenderti il tuo tempo, hai pure un orologio da taschino, che se si ferma neanche lo riavvii. Avanti Hatta, avanti, dacci sotto. Più tardi torneremo i solti io e te, protagonisti di una di quelle storie che ancora raccontiamo ai nostri figli prima di andare a letto, di quelle in cui indossiamo i cappelli di due bravi e ordinari coniugi, con vite precise come orologi svizzeri, ben regolati quanto a misura e distanza tra di noi.
Sono Hatta, un soprannome da matto. Essere dirompente mi si addice, ma devo dire che Alice mi segue: matta anche lei anche se non sembra. E così per una volta di più in mezzo alla festa di maschere, amici deludenti, vite monotone con figli a carico in un Paese che non è delle meraviglie, mi ha fatto entrare nella favola dalla “stretta porticina”. È lei che mi invita ad andare oltre… non solo con la fantasia!
Francesca Perinelli e Davide Lorenzon – Dicotomie resistenti n. 36
Illustrazione di Fabio Visintin
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